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Migranti e moralismi, Sanremo ha perso la “leggerezza”

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Mentre l’Italia, come un barcone nel Mediterraneo, affonda o, come il Pil, va giù e non viene su – come cantava Celentano, saluti ad Adrian -, a Sanremo si canta. La città dei fiori e del festival della canzone italiana, però, è come l’edera di Nilla Pizzi: ha radici ovunque, così l’Ariston è in realtà un enorme teatro tenda, una specie di Circo Barnum nazionale, che ricopre tutto il Belpaese che con scherno si rivede allo schermo. Lo diceva molto bene Luigi Barzini jr: “Siamo il paese della messa in scena”.

Con Sanremo c’è, però, una particolarità che vale la pena mettere in luce sotto i riflettori. Nel paese in cui la politica e la società e l’opinione pubblica tendono, secondo la regola melodrammatica, al teatro e al canto, Sanremo e il festival della canzone italiana – come è detto pomposamente – vengono a chiudere il cerchio: qui sono il teatro e il canto che tendono alla politica, alla società e all’opinione pubblica. Nel primo semicerchio o primo atto teatrale, la politica va verso l’estetica; nel secondo semicerchio o secondo atto della messa in scena, l’estetica va verso la politica.

Gli esempi abbondano. La conferenza stampa di apertura di Claudio Baglioni con la polemica sui naufraghi e con il ministro dell’Interno, Matteo Salvini; il monologo di Claudio Bisio e, naturalmente, le canzoni che sono dei noiosi pistolotti messi in melodia che drammatizzano con enfasi il mondo invece di fare, come diceva una dolce canzone di Renzo Arbore, la rima amore e cuore. Avete fatto caso che ormai i conduttori non si limitano più ad annunciare il cantante e la canzone ma danno anche una spiegazione del brano come se fosse un libretto d’opera?

La leggerezza della “musica leggera” è svanita da tempo e ad essa è subentrata la pesantezza della “musica pesante” che ha la pretesa, tipica del moralismo che confonde etica ed estetica, azione ed espressione, di salvare il mondo con la politica dei buoni sentimenti.

La perdita della leggerezza – recuperata ieri sera solo per un attimo con quella ragazzina di Ornella Vanoni – è il vero peccato di Sanremo. Quasi un peccato mortale che va in onda per ben cinque serate e tiene banco per un mese sulla televisione di Stato come un drammone nazionale. Nulla è più profondo della superficie, amava ripetere Nietzsche; ma la canzone italiana diventando seriosa, barocca, teatrale perde il suo popolare dono di natura e di fatto con una canzone uccide il bel canto. E’ tipicamente italiano: la commedia come forma della tragedia.

Aveva ragione Beppe Grillo quando proprio all’Ariston, mentre Pippo Baudo dietro le quinte era allo stesso tempo preoccupato e felice per la sorte del suo spettacolo nazional-popolare, diceva a circa 19 milioni di italiani di essere dei coglioni a stare davanti alla tv a vedere Sanremo. Ma oggi anche il Grillo parlante non è più lui ed è diventato Pinocchio nel paese dei balocchi.

Giancristiano Desiderio, 8 febbraio 2019