Politica

Migranti e “Paesi sicuri”, la mossa dei giudici può cambiare tutto: cosa c’è in ballo

Annalisa Imparato, Sostituto Procuratore della Repubblica, ci spiega le implicazioni del rinvio alla Corte Ue da parte del Tribunale di Bologna

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Un’ordinanza del Tribunale di Bologna ha acceso i riflettori sul sistema di asilo italiano e sulla sua compatibilità con il diritto dell’Unione Europea. Il giudice, chiamato a pronunciarsi sul caso di un cittadino bengalese richiedente asilo, ha deciso di sospendere il procedimento e di rivolgersi alla Corte di Giustizia Europea per chiarire se la normativa italiana sui “paesi sicuri” sia conforme ai principi comunitari.

La decisione del tribunale bolognese apre un nuovo capitolo nel complesso rapporto tra Italia e Unione Europea in materia di immigrazione e asilo. Un tema delicato, che da anni alimenta tensioni e controversie, e che ora approda nelle aule della Corte di Giustizia, chiamata a pronunciarsi su una questione di cruciale importanza.

La lista dei “paesi sicuri”

Al centro della controversia, la lista dei “paesi sicuri”, introdotta in Italia nel 2018 e recentemente aggiornata dal governo Meloni. Si tratta di un elenco di Stati considerati democratici e rispettosi dei diritti umani, dove si presume che i cittadini non siano a rischio di persecuzione. L’inclusione di un paese in questa lista comporta conseguenze significative per chi chiede asilo, rendendo più difficile ottenere lo status di rifugiato.

Il Tribunale di Bologna, tuttavia, mette in discussione la legittimità di questo strumento, sostenendo che la normativa italiana non offrirebbe sufficienti garanzie ai richiedenti asilo provenienti dai “paesi sicuri”. Il giudice argomenta che la valutazione della situazione individuale del richiedente non sarebbe adeguatamente approfondita, con il rischio di respingere le domande di persone che, pur provenienti da un paese teoricamente “sicuro”, potrebbero essere vittime di persecuzioni.

Sicurezza “parziale”: un ossimoro giuridico?

Il cuore del problema risiede nella definizione stessa di “paese sicuro”. Il governo italiano, per voce del sottosegretario Alfredo Mantovano, difende la validità della lista basandosi sul concetto di “sicurezza parziale”. Secondo questa interpretazione, un paese può essere considerato sicuro anche se solo la maggioranza della popolazione gode di protezione e rispetto dei diritti umani, mentre minoranze come la comunità LGBTQIA+, gli oppositori politici o le minoranze religiose possono essere soggette a discriminazioni e violenze.

Questa posizione, tuttavia, si scontra frontalmente con la recente sentenza della Corte di Giustizia Europea del 4 ottobre. I giudici di Lussemburgo hanno bocciato il concetto di “sicurezza parziale”, affermando che un paese può essere considerato sicuro solo se garantisce la sicurezza di tutti i suoi cittadini, senza eccezioni.

Il Tribunale di Bologna, allineandosi alla posizione della Corte Europea, chiede di disapplicare il decreto del governo Meloni, in quanto fondato su un concetto di sicurezza non conforme al diritto comunitario. I giudici bolognesi, con un efficace paradosso, si chiedono se la Germania nazista potesse essere considerata un “paese sicuro”, dato che la maggioranza della popolazione godeva di protezione, mentre minoranze come ebrei, omosessuali e oppositori politici venivano sistematicamente perseguitate.

Un conflitto annunciato

Il rinvio pregiudiziale del Tribunale di Bologna porta allo scoperto un conflitto tra diritto nazionale e comunitario che era nell’aria da tempo. Già durante la fase di elaborazione del decreto, gli uffici giuridici di Palazzo Chigi e della Presidenza della Repubblica si erano confrontati sulla compatibilità della normativa italiana con i principi europei in materia di asilo. Il diritto dell’Unione, infatti, stabilisce che le norme nazionali sull’immigrazione debbano sempre essere conformi alle direttive comunitarie, a tutela dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo.

Una questione aperta

Tuttavia, la questione della sovranità nazionale in materia di immigrazione rimane aperta. Il governo italiano, come molti altri governi europei, rivendica il diritto di adottare misure che ritiene necessarie per gestire i flussi migratori e garantire la sicurezza dei propri cittadini. In questo contesto, la lista dei “paesi sicuri” rappresenta uno strumento importante per snellire le procedure di asilo e concentrare le risorse sui casi più meritevoli. Il governo, inoltre, sostiene che la sentenza della Corte di Giustizia del 4 ottobre sia “estremamente complessa e difficilmente trasferibile alla realtà dei flussi migratori” e che il nuovo Regolamento Europeo, che entrerà in vigore nel 2026, modificherà il concetto di “paese sicuro” reintroducendo la “sicurezza parziale”.

Il bilanciamento tra diritti e sovranità

La Corte di Giustizia Europea è chiamata a bilanciare le esigenze di tutela dei diritti umani con il principio di sovranità nazionale. La sua decisione avrà un impatto significativo non solo sul sistema di asilo italiano, ma anche sul futuro delle politiche migratorie in Europa. In attesa del pronunciamento della Corte, il caso del tribunale di Bologna rimane un importante precedente, che mette in luce la complessità del tema dei “paesi sicuri” e la necessità di un dibattito approfondito sul ruolo del diritto nazionale e comunitario nella gestione dei flussi migratori.

La “sicurezza parziale” degli Stati

Il concetto di “sicurezza parziale” degli Stati solleva complesse questioni giuridiche. Si tratta di una situazione in cui uno Stato garantisce la sicurezza e il rispetto dei diritti umani solo alla maggioranza della popolazione, mentre minoranze specifiche subiscono persecuzioni e discriminazioni.

La Corte di Giustizia Europea ha bocciato questo concetto, affermando che uno Stato può essere considerato sicuro solo se garantisce la sicurezza di tutti i suoi cittadini, senza eccezioni. Questa interpretazione si basa sulla Direttiva 2013/32/UE sulle procedure di asilo, che stabilisce i criteri per la definizione di “paese di origine sicuro”.

Il rinvio pregiudiziale del Tribunale di Bologna mette in discussione la legittimità della lista italiana dei “paesi sicuri”, basata proprio sul concetto di “sicurezza parziale”. Se la Corte dovesse confermare la sua interpretazione, la normativa italiana potrebbe essere dichiarata incompatibile con il diritto europeo e, di conseguenza, disapplicata.

Nonostante la posizione della Corte di Giustizia, alcuni sostengono la validità del concetto di “sicurezza parziale”, basandosi su argomentazioni legate alla sovranità nazionale, all’efficienza delle procedure di asilo e al realismo politico.

La questione della “sicurezza parziale” rimane aperta e la Corte di Giustizia Europea è chiamata a fornire un’interpretazione definitiva. La sua decisione avrà un impatto significativo sul sistema di asilo italiano e sul futuro delle politiche migratorie in Europa, mettendo in gioco il delicato equilibrio tra tutela dei diritti umani e sovranità nazionale.

Annalisa Imparato
*Sostituto Procuratore della Repubblica, Consulente Giuridico della Commissione parlamentare Ecomafia e Consulente giuridico per la formazione del personale militare per il Ministero della Difesa

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