La proposta, appoggiata anche dalla Segreteria di Stato e fino ad oggi “top secret”, era di lasciare ad ognuno solo il salario dell’impiego principale e destinare il resto a un “fondo immigrati e rifugiati” da usare per le Chiese italiane. Quando si parla di immigrati però, neanche Francesco ha il coraggio di toccare le tasche dei signori della Curia.
I preti ‘di strada’ sono esasperati. Nel 2015, fedele alla linea della solidarietà, il bergogliano don Vinicio Albanese accolse 40 migranti nel modernissimo seminario di Fermo, pagandoli e trattandoli come i suoi seminaristi, ma dopo tre mesi hanno sfasciato tutto e tentato di incendiare i locali perché non erano contenti del vitto. Molti sono i conventi vuoti che potrebbero ospitare migliaia di immigrati, ma il Vaticano non ha giurisdizione diretta sui beni dei religiosi e neanche su tutti quelli delle diocesi. Quindi in periferia, senza aiuti concreti dai Sacri Palazzi, la misericordia resta uno slogan.
Se vogliono incidere davvero, i due sceriffi Salvini e Bergoglio hanno una strada maestra: il primo contrastare a monte l’immigrazione, magari mandando i droni nei porti degli scafisti ad affondare le loro navi prima dell’arrivo passeggeri (è chiaro Signora Meloni?) – così da evitare anche la fiction di questi giorni tra Capitano e Capitana, oggi agli arresti domiciliari e domani certamente in Parlamento – il secondo attingendo tra le riserve dell’Obolo di San Pietro per aiutare i parroci ormai allo stremo. Il tempo dei tweet e degli appelli dalle reti televisive o all’Angelus è finito.
Luigi Bisignani, Il Tempo 30 giugno 2019