Domani, la sezione immigrazione del tribunale monocratico di Roma potrebbe riaprire lo scontro tra toghe e politica: i giudici si riuniranno per decidere sulle ordinanze di trattenimento di sette migranti albanesi, attualmente ospitati nel centro italiano in Albania di permanenza per il rimpatrio. La pronuncia dei magistrati potrebbe infatti non differire da quanto avvenuto alcune settimane fa, quando il tribunale aveva annullato il trattenimento di 12 migranti costringendo il Viminale a riportarli nel Cara di Bari.
Le udienze di domani arrivano in un contesto di forte tensione tra l’autorità giudiziaria e il governo italiano, a causa delle diverse interpretazioni delle leggi europee in materia di immigrazione. In risposta alle recenti pronunce giudiziarie che non ritengono applicabile la lista di “Paesi sicuri” per il trattenimento dei migranti nei centri albanesi, il governo ha varato un decreto legge per elevare a norma di rango primario ed impedire così ai giudici un’eccessiva interpretazione della legge.
I migranti in Albania
Al centro di permanenza di rimpatrio (Cpr) in Albania, due giorni fa, sono stati trasferiti otto nuovi richiedenti asilo, selezionati per la procedura accelerata di frontiera. Durante il pre-screening al centro di Shengjin, si è scoperto che uno, a causa di problemi sanitari riscontrati durante le visite mediche, era vulnerabile e pertanto è stato trasportato in Italia. Gli altri sette sono invece stati trasferiti nel centro di Gjader. Come prevede la legge, entro 48 ore i giudici del tribunale di Roma devono decidere se confermare o meno il trattenimento proprio come successo per i primi 12 migranti.
Lo scontro politica-magistrati
L’operazione albanese, fortemente voluta dalla premier italiana Giorgia Meloni, sta incontrando più difficoltà del previsto. Il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Giuseppe Santalucia, ha invece auspicato che i giudici possano operare senza pressioni. Intanto, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha difeso il modello adottato in Albania, annunciando ulteriori ricorsi in caso di bocciature dei trattenimenti. “Noi siamo convinti che sia tutto conforme al diritto europeo – ha detto il ministro -. I percorsi giudiziari sono lunghi e complessi. Ci sono dei giudici che si stanno pronunziando in un certo modo, noi non siamo d’accordo su queste pronunzie, le abbiamo impugnate, faremo altre impugnative se non dovessimo condividere altri provvedimenti e poi si giungerà a un punto in cui ogni processo arriva ad un terzo grado finale che stabilirà”. La difesa del governo insomma si basa sulla convinzione della conformità di tali azioni al diritto europeo. Tuttavia, il Tribunale di Palermo, seguendo l’esempio di altre corti italiane, come quella di Bologna, Roma e Catania, ha recentemente sollevato questioni sull’interpretazione della nozione di “Paese sicuro” e chiesto chiarimenti alla Corte di Giustizia dell’Ue.
In occasione primo viaggio di migranti in Albania bocciato dalle toghe, il Viminale presentò ricorso in Cassazione. E lo farà anche nel caso domani i magistrati dovessero pronunciarsi contro il trattenimento. Il nuovo decreto sui Paesi sicuri, tuttavia, permetterà all’esecutivo di rivolgersi alla Corte di Appello e non più agli ermellini i quali, intanto, il 4 dicembre dovrebbero pronunciarsi sulla possibilità dei giudici della sezione immigrazione di mantenere una propria discrezionalità nella valutazione di un Paese sicuro o se devono attenersi alla lista contenuta nel decreto legge.
Parla Silvia Albano
Intanto, a settimane dallo scontro politica-magistratura, parla anche Silvia Albano, una delle giudici che non hanno convalidato il trattenimento dei migranti in Albania e che già prima che il progetto andasse in porto si era espressa pubblicamente contro le scelte migratorie del governo. “Io non ho nessuna intenzione di fare nessuno scontro con il governo – ha detto prima del convegno per il 60esimo di Magistratura Democratica – è il governo che vuole fare uno scontro con me. E io da questo scontro voglio sottrarmi. Io non sono mai intervenuta in questo periodo perché c’è stata una personalizzazione insopportabile”. E ancora: “Ci sono dei giudici che cercano di fare il loro lavoro, c’è stato un pronunciamento unanime di tutte le comunità dei giuristi, dall’unione delle camere penali all’associazione dei professori di diritto Ue e tutti hanno sostenuto che sulla primazia del diritto europeo non ci si può fare nulla”. Infine, la frecciata al governo: “Il fatto che chi come noi cerca di applicare la Costituzione e le carte sovranazionali venga appellato come giudice comunista mi preoccupa molto per lo stato della nostra democrazia”. Nessuna “toga rossa”, insomma: “Ci appellano così, noi non abbiamo in tasca né il libretto di Mao né il Capitale di Marx: noi abbiamo in tasca la Costituzione e ora le carte sovranazionali”.
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