Politica

Migranti in Albania, i giudici bombardano il decreto: “Ricorso alla Corte Ue”

Le toghe di Bologna mettono nel mirino la norma sui “Paesi sicuri” approvata pochi giorni fa dal governo Meloni

Meloni centro migranti Albania

Neppure il tempo di provare ad applicarlo che già il Tribunale di Bologna vuole fare a pezzi il decreto che il governo Meloni ha da poco licenziato per aggirare le sentenze dei giudici romani contro il trattenimento dei migranti nei centri in Albania. Le toghe emiliane hanno chiesto alla Corte di Giustizia dell’Ue di stabilire se il dl del 21 ottobre che ha definito una lista di “Paesi sicuri” va disapplicato in quanto contrario al diritto europeo.

Breve riassunto. Un anno fa Giorgia Meloni aveva annunciato un patto con Edi Rama per la costruzione di un centro di accoglienza per migranti in territorio albanese ma sotto la giurisdizione italiana. Lì dovrebbero essere portati i migranti “non vulnerabili” (maschi, adulti, in salute) provenienti da una lista di “Paesi sicuri”, tra cui Egitto e Bangladesh (solo per citarne due). Inaugurato a ottobre, è rimasto operativo il tempo di un amen. Il “trattenimento” al confine di 12 migranti (disposto dal questore) per avviare una procedura di asilo “accelerata” doveva infatti essere convalidata da un giudice e le toghe di Roma, tra cui Silvia Albano, lo hanno bocciato appellandosi proprio ad una recente sentenza della Corte Ue sulla Moldavia. Sintesi: se un Paese ha al suo interno parti di territorio “non sicuro”, non può essere considerato tale. Principio che i magistrati romani, nonostante il parere contrario di diversi giuristi, hanno allargato dalla sfera geografica alle “categorie di persone”: se non è sicuro per oppositori politici o per la comunità Lgbtqi+, allora non lo è per nessuno.

La speranza dell’esecutivo era quella di “elevare” la lista dei 19 Paesi sicuri da decreto interministeriale a norma primaria, così da costringere i giudici ad applicarla. O a ricorrere alla Corte Ue, come successo oggi. Secondo il Tribunale bolognese, infatti, le modalità con cui il governo ha redatto la lista contrasterebbe con le attuali norme europee, benché dal 2026 le stesse verranno modificate introducendo il concetto di “sicurezza parziale”.

Il ricorso in questione riguarda un cittadino bengalese. “Il sistema della protezione internazionale è, per sua natura, sistema giuridico di garanzia per le minoranze esposte a rischi provenienti da agenti persecutori”, scrivono i giudici di Bologna come riporta il Corriere. “Salvo casi eccezionali, la persecuzione è sempre esercitata da una maggioranza contro alcune minoranze, a volte molto ridotte. Si potrebbe dire, paradossalmente, che la Germania sotto il regime nazista era un paese estremamente sicuro per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca: fatti salvi gli ebrei, gli omosessuali, gli oppositori politici, le persone di etnia rom ed altri gruppi minoritari, oltre 60 milioni di tedeschi vantavano una condizione di sicurezza invidiabile. Lo stesso può dirsi dell’Italia sotto il regime fascista. Se si dovesse ritenere sicuro un Paese quando la sicurezza è garantita alla generalità della popolazione, la nozione giuridica di Paese di origine sicuro si potrebbe applicare a pressoché tutti i Paesi del mondo, e sarebbe, dunque, una nozione priva di qualsiasi consistenza giuridica”. Tradotto: i giudici vogliono abbattere dalle fondamenta il concetto di “Paese sicuro”. Nessuno lo è, forse neanche l’Italia. Se dovesse passare questa lettura, rimpatri e respingimenti diventeranno impossibili.

Di sicuro c’è che, a fronte della domanda dei giudici, probabilmente la Corte Ue metterà la parola fine alla diatriba giuridica. La richiesta è quella di chiarire “se la presenza di forme persecutorie o di esposizione a danno grave concernenti un unico gruppo sociale di difficile identificazione — quali ad esempio le persone lgbtiqa+, le minoranze etniche o religiose, le donne esposte a violenza di genere o a tratta ecc… – escluda detta designazione” come Paese sicuro e se “il dovere per il giudice di disapplicare l’atto di designazione permanga anche nel caso in cui detta designazione venga operata con disposizioni di rango primario, quale la legge ordinaria”.

Franco Lodige, 29 ottobre 2024

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