Bisogna tornare lì, al programma elettorale del centrodestra per le elezioni politiche del 25 settembre del 2022. Titolo: Per l’italia. Punto sei: sicurezza e contrasto all’immigrazione illegale. Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega promettevano che in caso di vittoria elettorale avrebbero ripristinato i decreti sicurezza di Matteo Salvini, messo in piedi un valoroso piano di “contrasto all’immigrazione irregolare” con tanto di “gestione ordinata dei flussi legali di immigrazione”. Una rivoluzione. Ci sarebbe stata la “difesa dei confini nazionali ed europei”, più controlli alle frontiere e “blocco degli sbarchi per fermare la tratta di esseri umani”. Quasi un anno dopo siamo più o meno al punto di partenza, senza “blocchi navali” di sorta, al netto delle lodevoli operazioni geopolitiche in vista di un “Piano Mattei” per l’Africa. Comprensibile, sia chiaro: certi guai non si risolvono in un amen. Però intanto i numeri dicono che a Ferragosto è stata superata la soglia dei 100mila sbarchi di clandestini nel Belpaese. E i numeri non mentono mai.
Il cruscotto giornaliero del Viminale, aggiornato al 16 agosto, ne calcola per la precisione 101.386. Sono il frutto degli sbarchi delle ultime ore. Leggasi le agenzie di stamattina: a Lampedusa ne sono approdati 277 (nell’hotspot ultra-affollato ne vivono oltre 2mila), a Pantelleria 79, ad Ancona 106 a bordo della Ong Humanity 1. Tutta colpa di Giorgia Meloni? No, ovviamente. Ma per ritrovare un dato simile bisogna tornare al lontanissimo 2017, l’anno in cui l’ex ministro Marco Minniti firmò il “memorandum” con la Libia e i vari capi clan locali. In breve tempo, gli approdi passarono dai 181mila del 2016 ai 119mila del 2017 per poi crollare – nei mesi di Salvini al Viminale – a 23mila nel 2018 e a 11mila nel 2019.
Certo le condizioni sono cambiate. Le Ong non sono più in prima linea e, come dice il ministro Piantedosi, adesso “il soccorso in mare è assicurato dallo Stato” per “una gestione più ordinata del fenomeno”. Ma dopo il Covid le partenze dall’Africa sono ricominciate a ritmi forsennati, come certifica anche Frontex, e le iniziative assunte sin qui hanno avuto l’effetto di un singolo tappo in una nave crivellata di buchi.
A rendere più complicato il tutto è la variazione della geografia dei flussi: se prima erano le coste libiche il punto di partenza dei barconi, ora è la Tunisia a farla da padrone. E la crisi economica del Paese nordafricano non aiuta. Non è un caso se lo scorso luglio Ursula von der Leyen è volata a Tunisi per firmare un memorandum di intesa tra l’Ue e il Paese africano guidato da Saied. I leader europei hanno promesso soldi in cambio di cooperazione sulle partenze. Per la precisione, con 100 milioni di euro l’Ue e la Tunisia dovrebbero coordinare le operazioni Sar, favorire i rimpatri (ma non di cittadini non tunisini) verso Tunisi e garantire maggior controllo delle frontiere. Qualcosa, va detto, funziona: oggi la Guardia Costiera tunisina ha sventato 18 tentativi di migrazione clandestina per un totale di 630 persone, clandestini che in caso contrario sarebbero arrivati in Italia. Ma non basta.
Non ancora, almeno. Se non dovesse trovare il bandolo della matassa, la sfida del governo Meloni rischia di trasformarsi in un incubo. Forse non sarà più il tema al centro dell’attenzione mediatica, ma il nodo immigrazione resta ancora in cima alla lista delle richieste degli elettori di centrodestra. I leader dei tre partiti lo sanno, e infatti hanno vinto le elezioni (anche) facendo leva su ordine, sicurezza e stop agli sbarchi. Deluderli sarebbe grave.
Giuseppe De Lorenzo, 16 agosto 2023