Di tutto questo caos sulle Ong e i migranti, bisognerebbe tenere a mente le parole che ieri i portavoce della Commissione europea hanno rilasciato ai giornalisti presenti a Bruxelles. Sono la prova provata, se mai ce ne fosse stato il bisogno, che sulla questione migratoria dalle parti dell’Unione Europea non intendono affatto cambiare musica. Canterebbe Mina: “Parole, parole, parole”. E finiranno col fregarci.
É vero: Eric Mamer, ieri a Bruxelles, ha ammesso che dopo il caos sulla Ocean Viking è arrivato il momento di tenere un consiglio straordinario Giustizia e affari interni per discutere di migrazioni. Quello di ieri, dove il nostro Antonio Tajani ha presentato i problemi, si è concluso con “un nulla di concreto”. Parola di Joseph Borrell. La Commissione assicura di essere sul punto di “preparare il piano d’azione”, in modo da avere una riunione per “cercare di risolvere le diverse questioni aperte che abbiamo sul tavolo”. E poi un vortice di promesse del tipo: “non esitiamo mai a cercare un modo costruttivo e concreto per far progredire le cose”, “è necessario avanzare nell’adozione delle varie proposte sul Patto per la migrazione e l’asilo”, “vanno risolte in modo strutturale e permanente questioni fondamentali”, eccetera eccetera eccetera. Fuffa. Magari in buona fede, ma fuffa.
Perché sono anni che l’Ue si ripromette di risolvere il problema, senza mai riuscirci. Le missioni europee in mare, da Frontex a Sophia, sono servite ma non erano abbastanza. Di piani per l’Africa nemmeno l’ombra. Della riforma di Dublino si parla dai tempi di Tutankhamon. Bruxelles ha versato a Erdogan 6 miliardi di euro, su richiesta di Angela Merkel, per fermare le migrazioni dalla rotta balcanica, ma per quella mediterranea se ne è guardata bene. Ci sono voluti gli accordi di Minniti con le milizie libiche e le prove muscolari di Matteo Salvini per mettere una toppa alla falla. Ma poi tutto è ricominciato come prima: i barchini, gli sbarchi autonomi, le Ong.
L’unico mezzo sussulto l’Europa l’ha avuto con gli accordi sulla redistribuzione dei migranti. Parliamo dello scorso giugno, governo Draghi imperante. Coinvolge 23 Paesi, di cui 19 membri dell’Europa, e riguarda 10mila migranti (non solo rifugiati, la novità, ma anche economici). Piccolo problema: si tratta di una intesa “su base volontaria”, in pratica buoni propositi ma poco più. E lo dimostra il fatto che in sei mesi degli 8mila circa che avrebbero dovuto lasciare l’Italia ne sono partiti solo 117. Nel frattempo, nello stesso periodo, l’Italia ne ha accolti 58.697. Non c’è storia. E pensare che ieri il portavoce Ue ha assicurato che “il meccanismo di solidarietà” è “stato messo a punto molto velocemente in giugno”. Molto velocemente, capito? Ci prendono in giro.
Meloni dunque stia attenta. Perché se a Bruxelles sono convinti che il sistema di ricollocamento sta funzionando alla grande, è chiaro che non intendono guardare in faccia la realtà. Se a questo ci si aggiunge che ieri la Commissione si è schierata al fianco delle Ong (“non facciamo differenze tra navi, c’è un obbligo giuridico chiaro e inequivoco: il salvataggio della vita umana deve esserci, quali che siano le circostanze che conducono le persone a trovarsi in una situazione di difficoltà”), allora si capisce che l’impostazione europea è più simile a quella franco-tedesca che alle posizioni dei rivoltosi del Sud. Sintesi: fare gli accoglienti coi porti degli altri.
Un ulteriore segnale che, anche qualora si arrivasse davvero a discutere di chiusura dei confini, cercheranno poi di annacquare il tutto. Finendo col fregarci: le Ong continueranno a sbarcare in Italia, da Bruxelles arriverà solidarietà a parole e i ricollocamenti avverranno col contagocce. Esattamente come oggi.
Giuseppe De Lorenzo, 15 novembre 2022