È vero: una rondine non fa primavera, dunque un Colombo (Furio) non fa opposizione. Né l’ex senatore dell’Ulivo ed ex direttore de l’Unità può essere ad esempio per tutti coloro i quali si oppongono a Giorgia Meloni. Però, in un Paese che processa un ex ministro per aver tentato di chiudere i porti all’immigrazione irregolare, e lo processa per “sequestro di persona”, ci si può attendere di tutto. Anche che qualcuno colga al balzo il suggerimento di Furio Colombo di mettere alla sbarra il premier per il reato di tortura.
Spieghiamo. Ieri mattina, a l’Aria che tira su La7, il giornalista di lungo corso discuteva con Myrta Merlino della decisione del governo e del ministro Piantedosi di “allungare” il viaggio delle navi Ong cariche di migranti verso porti differenti da quelli della Sicilia e della Calabria, terre già sature di immigrati da accudire. Scelta distributiva su cui sono scoppiate molte polemiche anche da parte di quei sindaci e quegli amministratori, di sinistra, che a parole si dicono accoglienti e poi storcono il naso quando la gestione di un barcone tocca a loro. Detto questo, torniamo a Colombo. Secondo cui “allungare il viaggio di persone salvate in mare è tortura“, se solo esistesse questo reato, perché “molti migranti si sono sentiti male” durante la navigazione. “Quattro giorni di tempesta: quattro giorni di tempesta per dei salvati dal mare. Non ci può essere una ragione per portarli ad Ancona”.
Colombo, ovviamente, può pensarla come vuole. E ci sta anche che consideri la mossa del Viminale un modo per mettere i bastoni tra le ruote alle navi umanitarie: allungare i tempi per approdare ad un porto sicuro allunga anche i tempi per il loro ritorno di fronte alle cose della Libia. Più miglia, più carburante, più costi. Se a questo ci si aggiunge il fatto che per codice di condotta non possono più accumulare salvataggi prima di dirigersi verso l’Italia, qualcosa nel tempo potrebbe pur cambiare.
I commensali sanno che non abbiamo risparmiato critiche alla strategia Piantedosi. La promessa era quella di fermare il traffico degli esseri umani, lo strapotere delle Ong e gli sbarchi di clandestini. Ma per il momento i numeri dicono che l’opposto: 3.746 approdi nei primi 14 giorni del 2023 contro i 378 dell’anno scorso. Da qui ad accusare il Viminale o Palazzo Chigi di tortura, però, ce ne passa.
A Furio Colombo basterebbe far notare un paio di dettagli. Prima dell’approvazione del decreto sulle Ong, le navi umanitarie erano solite operare così: si imbattevano in un’imbarcazione, caricavano a bordo dei migranti, restavano in mare, cercavano di fare salvataggi multipli finché la nave non era piena e solo qualche giorno dopo si decidevano a dirigersi verso l’Italia. Causalmente, proprio a ridosso delle coste nostrane i naufraghi cominciavano a sentirsi male così da richiedere lo sbarco immediato e tutto il resto. Storia nota.
Domanda per Colombo: se fino a ieri erano in grado di stare più giorni con dei naufraghi a bordo, perché ora sarebbe “tortura” costringere le stesse imbarcazioni a impiegare quattro dì per navigare verso Ancona? Seconda domanda: se queste Ong sono anni che compiono operazioni Sar finanziate con ingenti fondi, come mai non si sono procurate delle navi adeguate alle scopo? Perché affrontano il Mediterraneo senza poter garantire di poter arrivare in sicurezza anche in porti più lontani della Sicilia o di Lampedusa? Più che il reato di tortura, qui sarebbe da denunciare la spregiudicatezza dei professionisti dell’accoglienza.
Giuseppe De Lorenzo, 14 gennaio 2023