Milano dopo il Covid: non ti capisco più

Dopo le serrata di Conte, Draghi e Speranza, tutti hanno tirato i remi in barca. Guerra alle auto e mezzi in sciopero

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I milanesi vogliono l’estate. Neanche primavera, proprio l’estate: eccoli tutti in maglietta, i giovanotti e le fanciulle più o meno fludificanti, ma se ne pentiranno, a tempo debito. Freddo in effetti non fa, anche se c’è un vento fastidioso. Ieri sera sono uscito dalla tivù, che sta in zona Lambrate, alle undici e non c’era un posto dove mangiare. Col mio compare attraversiamo la città un tempo del terziario avanzato ma gli unici aperti sono i turchi. Ma santo cielo se a me non piace il kebab?Passiamo a Bresso, a Desio, a Nova e tutti sono chiusi o stanno chiudendo, anche i famigerati McDonald’s e lì mi accorgo di uno degli effetti collaterali della sciagurata gestione sanitaria: prima non era così, con le serrate di quei gran geni di Conte, di Draghi, di Speranza tutti hanno tirato i remi in barca. Ci salviamo solo perché il mio amico scova in macchina un pacco di buondì Motta, abbiamo pure una bottiglietta d’acqua liscia.

La mattina dopo sto facendo checkout dall’albergo, proprio davanti alla Fiera, posso vederne l’ingresso illuminato dalla camera che come tutte le camere di tutti gli alberghi è un deserto di desolazione se ci stai da solo, chiedo la strada per la metro, che sta a un chilometro di strada squallida e desolata e la ragazza della reception, che ormai mi conosce, ride tutte le volte che le mostro la mia patente antidiluviana, gualcita oltre l’ignobile, risponde: “Ma dove vuoi andare che c’è lo sciopero dei mezzi”. Per cosa non l’ho capito, se per soldi, per sabotare la fascista Meloni o per il compagno Cospito ma insomma sono bloccato: deve tornare a raccattarmi dopo due ore, che passo scrivendo, il mio amico nella pausa pranzo.

Siccome è richiesto in ufficio di volata mi lascia dove può vale a dire un paio di chilometri dalla stazione, ma va benissimo camminare, perdersi nella frenesia un po’ torpida della perduta città. Arrivo in stazione con anticipo fantozziano e per ingannare il tempo cerco qualcosa da buttare nello stomaco. C’è un posto in fregola trendy, devi ordinare sullo schermo digitando, tic tic, poi inquadri il QR, strusci la card e paghi e finalmente puoi mangiare. Solo che chissà perché la pizza che vorrei, mozzarella cotto champignon, di vasetto, non si può ordinare. Mi incazzo, li mando mentalmente a fallire, difficile dato l’afflusso continuo, tic tic, e naturalmente pesco un posto infame con un trancio all’olio esausto e un caffè di scorie nucleari. In fila alla cassa c’è un drappello di madame con una bionda che fa sapere a tutti dei suoi weekend, dei suoi uomini, dei suoi flussi, e le altre ascoltano e ridono e anche loro parlano di week end e di mestrui e di uomini, credo d’aver capito per lo più fluidi.

Con quelle vocette da pollaio che hanno le milanesi uscite dal salone di bellezza ma che poi fanno merenda in piedi al bancone, chissà la botta estetica. Riparo da Feltrinelli, che almeno posso sedermi, ma ho una telefonata e arriva la security (ma perché li prendono tutti di colore dall’aspetto delle gang di Chicago?) e, siccome ha ragione lui e torto io, me ne vado. Poi non ti lamentare che sei nel borgo marinaro dove non c’è mai nessuno, goditi il gran casino delle umane genti in transumanza, avant e indrée per i convogli. Ma una vestita da influencer mi viene addosso mentre si fa un “reel”. Non si scusa anzi mi ingiunge con vocetta da influencer di togliermi di torno che le rovino la story. Che faccio, l’ammazzo? No, perdono perché non sa quel che fa e trovo asilo nella cappellina della stazione, unica a me rimasta perché l’altra, mia prediletta, la minuscola meravigliosa chiesa ferroviaria della stazione di Ancona, tutta con materiali dei treni riciclati, non è più agibile: sulla porta sbarrata, un cartellino: “La cappellina è aperta dal lunedì al sabato dalle ore 10 alle ore 11”. Costava troppo lasciarla aperta ai fantasmi di passo come me che ci vanno ad ascoltare la forza del silenzio, come dice il cardinale Sarah che non vogliono papa perché dice che il Cristianesimo non è un’agenzia sociale ma una faccenda dello spirito. Sotto cappellina qualcuno, a pennarello, ha scritto: “cattolica”.

Qui a Mediolanum ci arriveremo ma per il momento posso sedermi, raccogliermi, sentirmi come sempre in colpa anche se non so di cosa, scrivere queste note che qualcuno spero leggerà. C’è una donna quasi anziana, sbaglierò ma mi pare la stessa dell’altra volta, un mese fa, quando un macchinista di Trenord ha tirato giù un tondello provocando il guasto elettrico epocale, panico in stazione, treni soppressi o con ritardi di 3 ore, compreso il mio. Ma forse mi sbaglio. Dietro di me c’è uno che dice il rosario mentre guarda il telefono. Che metropoli è una metropoli dove non ti fanno più circolare con la macchina ma ti bloccano i mezzi pubblici, dove alle undici di sera i locali ti sbattono la porta in faccia? Il treno è colmo, non siamo ancora partiti che tutti cominciano a telefonarsi a volume da lobotomia, però con la mascherina.

Fossi nel governo cinese mi risparmierei i palloni sonda, così discreti che fanno 60 metri di circonferenza, e spedirei una spia su ogni vagone di ogni “freccia”. Ma forse ci hanno già pensato. Ciao Milan, tu sei sempre “pienamente operativa acca 24” ma io ti capisco sempre meno. Tornarci, tornerei, ma alla maniera del poeta, “viverci senza viverla”. Ogni volta che arrivo lo stesso struggimento, ma da un po’ quando riparto sento come un sollievo, inedito, desolante, dell’odor del tempo e del mondo.

Max Del Papa, 18 febbraio 2023

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