Danno del pazzo – “loco” – a Javier Milei. Il presidente argentino, per la sinistra continentale e la stampa al caviale, è nella migliore delle ipotesi un fenomeno folkloristico, nella peggiore un pericoloso squilibrato che minaccia di ridurre alla fame il suo Paese. Ma pure la destra, specie la destra sociale, da noi sotto sotto borbotta. Lo accoglie, lo osanna, lo abbraccia, ma in fondo pensa che la ricetta del liberista sudamericano non sia applicabile nel Vecchio continente.
Intanto, però, Milei è riuscito a tenere sotto controllo l’inflazione, che come i lettori di questa testata sanno è la più recessiva delle tasse occulte, poiché colpisce soprattutto gli indigenti. E a vendicare i buoni risultati di Mister Afuera, adesso, c’è anche il periodaccio che sta attraversando la sua nemesi brasiliana: il presidente Luis Inacio Lula da Silva.
Reduce da alcune operazioni al cervello, necessarie per curare un’emorragia provocata da una caduta in casa di un paio di mesi fa, l’idolo dei socialisti del mondo intero ha dovuto far approvare in Parlamento una riforma fiscale che, per gli standard di chi crede che la ricchezza si crei distribuendo prebende e prestazioni di welfare, si può tranquillamente definire lacrime e sangue. In particolare, Brasilia si è dovuta impegnare a ridurre la spesa pubblica gradualmente di qui al 2030, intervenendo persino sul meccanismo che serve a determinare il salario minimo (l’altro feticcio della sinistra nostrana): non sarà più legato solo al Pil e all’inflazione, ma anche al comportamento di spesa.
Le misure volute da Lula servono ad allentare la pressione dei mercati sul real, la valuta nazionale: è la moneta emergente peggiore del 2024 e, per sostenerla, la banca centrale è già dovuta intervenire tre volte, vendendo in totale quasi 9 miliardi di dollari.
Nel frattempo, i fondamentali economici del Brasile sono tutti peggiorati, come ha rilevato il sito Investire oggi: il rapporto deficit/Pil è schizzato a oltre il 9% (con Jair Bolsonaro si era fermato al 4,6); l’inflazione, a novembre, ha toccato quota +4,87%; gli interessi sul debito, nei primi dieci mesi del 2024, hanno inciso per il 7,5% del Pil; e i rendimenti dei titoli di Stato sono in salita, con i bond a 10 anni in valuta locale che offrono il 14,7%, contro il 10,6% di fine 2023.
Risultato: anche Lula ha dovuto mettere mano alla motosega. La sua riforma fiscale vale tagli per 12 miliardi di dollari americani in due anni. Ma gli analisi temono che la scure imbracciata dal campione dell’internazionale socialista possa rivelarsi insufficiente, anche perché, nonostante il Brasile resti competitivo sull’export, la fiducia degli investitori internazionali è calata sensibilmente.
Toc toc, benpensanti: sicuri che Milei sia tanto “loco”?
Franco Lodige, 26 dicembre 2024
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