Non si placano le polemiche sul caso dell’esplorazione marina del Titan, specialmente dopo la testimonianza di Arthur Loibl che due anni fa ha pagato centomila euro per vedere da vicino il Titanic. Parlando con il quotidiano tedesco Bild, Loibl ricorda che il primo sommergibile che hanno provato non ha funzionato. «Alcune parti si sono staccate e la missione è iniziata con cinque ore di ritardo per problemi elettrici». Questa, sospetta Loibl, potrebbe essere la causa della scomparsa del Titan anche stavolta. «Allora era una missione suicida».
Cos’è accaduto
“Una catastrofica perdita di pressione” con “un’implosione”. Sarebbe questa la causa del disastro del sommergibile Titan, disperso nell’Oceano Atlantico da domenica con 5 persone a bordo e distrutto nella missione destinata a raggiungere il relitto del Titanic. Stockton Rush, Shahzada Dawood e suo figlio Suleman, Hamish Harding e Paul-Henri Nargeolet sono morti a causa della «perdita della camera di pressione» del sottomarino. Probabilmente a causa di un guasto. E il decesso risale a questo punto a quattro giorni fa. Ovvero quando la Marina degli Stati Uniti ha registrato «un’anomalia coerente con un’implosione o un’esplosione» nelle vicinanze del sommergibile quando le comunicazioni sono state interrotte. Con un sistema di rilevamento acustico top secret che era stato progettato per individuare imbarcazioni nemiche. Alla luce del disastro che ha causato vittime sorge una domanda in molti: “Ha senso scendere nelle più oscure profondità dell’acqua per vedere un relitto?”. Per me sì e provo a spiegarvi il perché.
Esplorare e scoprire nonostante i rischi
L’uomo per sua natura è spinto a conoscere sempre nuove cose, del resto ogni scoperta innovativa è frutto dell’operoso lavoro di persone capaci di estendere l’azione della propria consapevolezza in molteplici attività. Continuare a sondare il fondo del mare non si limita alla necessità d’indagine di fatti storici, come ad esempio, la visita al famoso transatlantico naufragato conosciuto col nome di Titanic, ma di scrutare quell’ignoto capace di offrire informazioni importanti ed utilizzabili a diversi livelli. Nell’affrontare immersioni subacquee, capita spesso di trovare molto più di ciò che ci si aspettava: le profondità marine sono ricche di sorprese per chi osa avventurarvici.
Ad esempio, oggi che si parla tanto di “tutela dell’ambiente”, non molti sanno che in Adriatico è stata scoperta una corrente sottomarina che rigenera l’ecosistema, in pochi posti al mondo sono stati registrati fenomeni simili. I ricercatori dell’Istituto nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale di Trieste hanno scoperto qualcosa che avviene forse solo in Antartide, in Groenlandia e nel Golfo del Leone in Francia. Tra la Puglia e le coste croate, tra Bari e Dubrovnik, in uno spazio largo circa 50 miglia, avviene un vero e proprio fenomeno di rigenerazione dell’ecosistema marino, scoperta avvenuta grazie all’utilizzo di un drone subacqueo.
I misteri degli abissi
Un aspetto poco considerato è quello della connessione spirituale tra “l’uomo e l’acqua” che spinge l’essere umano ad immergersi in profondità come necessità primaria nascosta nella sua anima. Dunque l’esplorazione marina è da considerarsi anche un “viaggio” che apre l’interesse oltre la sfera materiale, infatti, l’acqua dal punto di vista simbolico è protagonista non solo come elemento essenziale della vita stessa, ma connette diverse realtà spirituali. Alcune scoperte, oltre a quella citata in precedenza, conducono infatti in “luoghi altri”.
Sotto le spiagge rigogliose dello Yucatan, in Messico, si trova un sistema di caverne sottomarine talmente esteso che si ritiene possa essere la grotta subacquea più grande del mondo, capace di fornirci nuove informazioni su una delle più grandi civiltà della storia, i Maya. La scoperta di questo articolato sistema di grotte sottomarine è stata fatta dai sommozzatori del progetto Gran Acuifero Maya che dopo dieci mesi di esplorazioni e immersioni hanno compreso la possibilità di collegare due sistemi di grotte fra loro.
Le cenote erano tenute in grande considerazione dai Maya, che un tempo abitavano questo territorio. Essi infatti pensavano che queste grotte rappresentassero le porte d’accesso per il mondo sotterraneo e molte di queste erano considerate dei veri e propri luoghi di culto.
Vivere nel coraggio
Non si tratta di vanità o superbia. Come raccontato nell’articolo, continuare l’attività di ricerca nei fondali marini è qualcosa che interessa e coinvolge l’intera umanità. Gli incidenti capitano e la morte è parte della vita, la differenza si trova nella scelta. Vivere con coraggio significa “immergersi” nella pienezza sostanziale dell’esistenza. La parola coraggio, infatti, deriva dal latino coratĭcum o anche cor habeo, aggettivo derivante dalla parola composta cŏr, cŏrdis “cuore” e dal verbo habere “avere”: avere cuore. Di fatto, chi vive in tal senso ha deciso di mettere il cuore per imprese nobili. Oggi è importante studiare con attenzione nuovi protocolli di sicurezza ed eventualmente puntare anche su nuove tecnologie in grado di viaggiare senza necessariamente persone a bordo.
Carlo Toto, 23 giugno 2023