Botte piena e moglie ubriaca: Bonomi si rilegga la lezione di Martino

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Analizzando il commento di Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, in merito alla prossima legge di bilancio che il governo Meloni si appresta a varare, mi vengono in mente una sempre attuale frase di Ferdinando Martini, che fu governatore dell’Eritrea dopo il disastro di militare di Adua, nel 1896: “Chi dice che gli italiani non sanno quello che vogliono? Su certi punti, anzi, siamo irremovibili. Vogliamo la grandezza senza spese, le economie senza sacrifici e le guerre senza i morti. Il disegno è stupendo, ma forse è difficile da effettuare.”

Ebbene, criticando in parte le misure messe in campo dalla maggioranza, Bonomi lamenta la mancanza di coraggio sul piano del taglio al cosiddetto cuneo fiscale, che in soldoni corrisponde alla differenza tra lo stipendio lordo che versano i datori di lavoro e ciò che riceve il lavoratore. “Manca un intervento forte sul cuneo fiscale: serve un intervento choc – ha detto Bonomi all’assemblea di Confindustria a Genova -. Sotto i 35 mila euro si è perso potere d’acquisto per cui l’unico modo è tagliare le tasse sul lavoro cercando 16 miliardi”. In merito ai quattrini necessari, egli ha sottolineato che “le risorse si trovano riconfigurando il 4-5 per cento della spesa pubblica”, aggiungendo che “in questo modo si può dare una mensilità in più per tutta la vita lavorativa”.

Dopodiché, tanto per non farsi mancare nulla, il leader della più importante associazione imprenditoriale del Paese ha dato prova di essere un campione nell’arte molto italiana del cerchiobottismo. Ha infatti esortato l’attuale esecutivo a “mantenere la barra dritta sulla finanza pubblica senza smarrire il piano Draghi sulla riduzione del debito”, aggiungendo però che “bisogna anche fare una riflessione sulla spesa sociale, perché negli ultimi anni (quest’ultima) è raddoppiata ma è raddoppiato anche il numero dei poveri. Stare attenti al debito pubblico significa stare attenti all’interesse del Paese”.

Quindi, per ricapitolare, Bonomi invoca un sacrosanto abbattimento del cuneo fiscale, attraverso una “semplice” riconfigurazione della spesa pubblica con cui reperire la sciocchezza di 16 miliardi.  Tuttavia, nel contempo, sostiene l’esigenza di mantenere una sostanziale disciplina di bilancio, ma senza penalizzare la platea in aumento dei poveri. Dopodiché ammonisce di tenere sotto controllo il debito pubblico, letteralmente esploso dopo la dissennata cura anti-Covid imposta all’Italia dai due precedenti esecutivi.

Ebbene, come possano stare insieme i magnifici e progressivi desideri di Bonomi è un vero mistero. Soprattutto se consideriamo che prima della pandemia di follia, la quale ha letteralmente paralizzato la nostra economia, circa il 45% della colossale spesa pubblica veniva assorbita dal welfare, composto essenzialmente da pensioni, sanità e sussidi di ogni genere.

Ed è per i costi esorbitanti del medesimo welfare – che nel capitolo previdenziale ci sottrae oltre il 17% del Pil, contro circa il 12% della media europea – che le buste paga dei lavoratori italiani sono ridotte all’osso. Ciò, ovviamente, al netto di tutti gli indici di produttività di questo disgraziato Paese, sostanzialmente immobili da qualche decennio.

Il problema di Bonomi e di tanti altri uomini pubblici e che nessuno ha il coraggio di esprimere chiaramente un concetto più volte ripetuto dal compianto Antonio Martino: in Italia la mano pubblica spende troppo e spende molto male.

La crescita più bassa in Europa degli ultimi 30 anni e il gigantesco debito sovrano accumulato ne sono la miglior prova.

Claudio Romiti, 23 novembre 2022

 

 

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