La lettera al Corriere di Stefano Geuna, rettore a Torino, è esemplare di cosa sia oggi l’università italiana. Oggi come ieri, peraltro. Per giustificare, ossia legittimare, le prepotenze violente dei pro Hamas che vorrebbero spazzar via gli ebrei non dall’università ma dalla faccia della terra, ci gira intorno e parla di “momento di ascolto”. Ma sa benissimo che l’ascolto è a senso unico, perché il cafarnao è a senso unico.
Siccome la contorta fede finisce regolarmente per avvitarsi, nella sua lettera al Corriere filoisraeliano il rettore si avvita, si trasforma nel professor Marcellini, quello degli uomini del passato che “hanno dato la vita, hanno dato la vita”: va a ripescare i professori ebrei perseguitati nel ‘31, espediente retorico che c’entra come i cavoli a merenda, che suona patetico perché un secolo dopo siamo suppergiù nella stessa situazione, con la differenza che oggi un ebreo, professore, giornalista, studente, simpatizzante o neutrale che sia, rischia per mano degli antifà in favore di Hamas. Cosa che Geuna sa benissimo così come sa che tutto questo canaio è strumentale, tira acqua al mulino di una sinistra cui dei palestinesi, di Gaza, importa un fico secco perché quello che davvero le sta a cuore è mantenere l’egemonia nell’università e nella scuola, ultima spes, ultimo vivaio di fanatismo e intolleranza di cui la sinistra tattica si nutre. Secondo il doppio standard che fu già con le Brigate Rosse, col terrorismo: oggi ufficialmente con Israele, ufficiosamente con quelli che vogliono cancellarla dal mappamondo e sfilano in via Padova.
Volendo essere chiari, intellettualmente chiari, ci sarebbero da dire poche cose e molto chiare: che un potere legato a Israele indiscutibilmente esiste, è marcato nei media borghesi e finanziari, che Israele ha saputo ricavare da una tragedia storica immane una serie di ragioni e anche di alibi usati all’occorrenza in modo magistrale ma che adesso, dopo l’inferno del 7 ottobre, sta esaurendoli uno dopo l’altro. Perché se ammazzi sette o otto volontari che portano viveri e medicine, non puoi cavartela col militare che, provvisto di sorrisetto indecente, dice ops!, abbiamo sbagliato mira. Continuando così, Israele diventa il peggior nemico di se stesso e Netanyahu il peggior nemico di Israele, perché le ragioni indiscutibili, il ruolo di cerniera democratica col medio oriente, il suo accerchiamento drammatico, il suo sacrosanto diritto a esistere non possono giustificare la qualunque in eterno.
Detto questo, precisato tanto quanto, niente giustifica la controlobby filopalestinese, in effetti antiebraica, niente salva i pogrom contemporanei, quel vento antisemita che spira per le università di tutto l’Occidente e niente scusa l’odio tattico che soffia per le università italiane dalle Alpi al ponte sullo Stretto se mai si farà. I rettori di tutti gli atenei, non solo quello di Torino, sanno benissimo che, volendo o meno, non hanno più alcun controllo su una situazione che non rischia di degenerare perché è già degenerata, se mai il pericolo è che rifluisca come ai bei tempi in cui a Padova Toni Negri teorizzava i pestaggi ai colleghi dissidenti e tutti per viltà o opportunismo si adeguavano, si allineavano. Anche allora si parlava di “momenti di ascolto”, ma dietro l’ascolto c’erano le spranghe se non le pistole. E a straparlare erano sempre quei pochi.
Dietro i “momenti d’ascolto” c’è la solita sovrastruttura opportunistica che dei diritti umani fa pretesto per altri scopi, non ammissibili ma perfettamente evidenti. Il Raimo che pretende di picchiare i nazisti, cioè quelli che lui considera tali, è ridicolo perché Raimo, in un confronto a mani nude, non saprebbe difendersi neanche da quella parrucchiera di Baby Touché. Ma rappresenta altro, una provocazione mirata sulla quale il Pd egemone negli stracci non fiata. Raimo si definisce docente e giornalista, e dunque aspettiamo almeno il fiato delle istituzioni di controllo, altrimenti così solerti. Senza farci troppe illusioni, perché non siamo nati ieri e neanche ieri l’altro.
Certo però che il continuo scantonare, divagare, il nascondersi dietro il dito delle frasi altisonanti ma vuote, è deprimente: “La propensione tutta italiana a stigmatizzare le presunte debolezze dell’Accademia — in realtà tutt’altro che debole, data la sua comprovata capacità di crescita e sviluppo a fronte di sistematico sottofinanziamento rispetto alla media europea — rischia di far perdere l’opportunità di un confronto allargato circa le modalità di relazione con i Paesi in guerra. O con Paesi non democratici, dove il valore dei diritti è limitato se non assente. Scendere in campo e prendere posizione oppure costituirsi come campo universale per costruire ponti? Il mondo cambia con grande velocità e nuove risposte ai nuovi problemi non sembrano all’orizzonte, né sembra di ravvisare il clima favorevole a cercarle, a mero vantaggio di sterili contrapposizioni”.
Fuori dal politichese universitario che non sa di che parla, il senso è miserevole: siamo martiri, meritiamo più soldi ed ogni pretesto è buono per chiederli. Come per qualsiasi ambito dalla sanità ai tramvieri ai giocolieri, ma cosa c’entri tutto questo con il fanatismo di chi impone l’odio razziale all’università, aspettiamo che qualche illuminato rettore ce lo spieghi davvero.
Max Del Papa, 6 aprile 2024
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