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“Montesquieu”: chi è l’ideologo delle élite che le spara sul governo

© Africa images e rarrarorro tramite Canva.com

Qualcuno dovrebbe dire a Mauro Zampini – dal 1994 segretario generale della Camera, e in seguito prefetto e consigliere di Stato – che forse ha sbagliato nom de plume firmando le sue catilinarie antigovernative come Montesquieu. Il suo ricorrente delenda Catthago – “la funzione legislativa è oggi nelle mani dei governi, che hanno espropriato i parlamenti” – non fa venire in mente il Presidente del Parlamento di Bordeaux, Charles-Louis de Secondat barone di La Brède e di Montesquieu, bensì l’avvocato di Arras, Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre. Nel Discours del 10 maggio 1793, l’Incorruttibile, dopo aver ricordato che dappertutto si sono visti i magistrati opprimere i cittadini e i governi divorare la sovranità, teorizzava che “il governo è istituito per fare rispettare la volontà generale ma gli uomini che governano hanno una volontà individuale e ogni volontà individuale cerca di dominare e a tal fine i governanti impiegano la forza pubblica di cui sono armati”. E così concludeva l’onnipotente leader giacobino: “il governo è il flagello della libertà” sicché la prima preoccupazione di ogni Costituzione è quella di “difendere la libertà pubblica e individuale contro il governo stesso”. I legislatori, però, sembrano essersene dimenticato: hanno pensato a rendere il governo più forte non a contenerlo nei suoi limiti istituzionali e, pertanto, hanno preso “precauzioni infinite” solo contro un’eventuale “insurrezione del popolo”.

Robespierre fu un personaggio tragico e un pensatore politico di elevata statura morale e intellettuale (gli studi della compianta Anna Maria Battista lo dimostrano al di là di ogni ragionevole dubbio): non teorizzò mai un regime tirannico ma solo il primato del Legislativo, che voleva sorvegliato costantemente dal popolo e dal popolo revocato, qualora fosse venuto meno all’esprit républicain. Quando venne messo in stato di accusa alla Convenzione – la famosa congiura di Termidoro – rifiutò, come l’antico Socrate, di mettersi in salvo e si sottopose, senza batter ciglio, alla pena capitale giacché, per lui, era il Parlamento la fonte di ogni legittimità e non vi erano istanze superiori alle quali fare appello contro una sentenza ingiusta (ovvero ritenuta tale da lui e dal suo Club montagnardo, giacché, per la Francia, liberarsi di chi aveva identificato Terrore e Virtù, significò rinascere a nuova vita).

Con queste citazioni – da vecchio professore in pensione di Storia delle dottrine politiche, e per di più Emerito – non voglio certo infierire contro Mauro Zampini, che sicuramente non si riconoscerebbe nella democrazia non liberale – ma senza dubbio popolare e assembleare – di Robespierre ma solo ricordargli che il rafforzamento dell’esecutivo, nei disegni dell’attuale governo (disegni che mi lasciano in parte alquanto perplesso, come lasciano perplesso l’amico e collega Marcello Pera) non significa necessariamente una minaccia per la libertà politica giacché non c’è libertà politica in un regime segnato dall’ingovernabilità.

Sennonché ognuno fa il suo mestiere, io faccio il mio di storico attento e un po’ emmerdeur, Zampini – non a caso su La Stampa – fa il suo di ideologo di un establishment esacerbato dal governo dei “barbari” sovranisti. Però lo faccia con un nom de plume più adeguato.

Dino Cofrancesco, 22 luglio 2024

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