Rassegna Stampa del Cameo

Monti e quella telefonata di Soros

Rassegna Stampa del Cameo

A scanso di equivoci, premetto che ho stima e considerazione personale per Mario Monti, come accademico e come ex rettore della Bocconi. Se parlo di lui è per un motivo banale, si è trovato coinvolto, a sua insaputa, in uno dei miei tanto amati segnali deboli. Stavo vedendo due talk politici in prima serata, passando da Lilli Gruber a Barbara Palombelli e viceversa, quando mi capita Mario Monti. Conosco a memoria le parole, il linguaggio del corpo, la ritrosia di parlare di se come salvatore della Patria del professore. D’improvviso se ne esce con uno scoop: “Un giorno del 2011 mi chiama George Soros, suggerendomi di chiedere aiuto all’Europa, ma noi volevamo evitare la Troika e non seguimmo quel consiglio. Sì, Soros era molto preoccupato per l’Italia”. Sobbalzai sul divano, era un fatto credibile ma perché lo confessava ora, sapendo che nel frattempo per i quattro quinti dei cittadini Soros è diventato il diavolo? Un segnale debole dello tsunami che sta arrivando da Bruxelles, mi chiesi subito?

Per me Twitter è gioco e lavoro. Dei miei 4.000 follower la metà sono riconducibili al mondo delle élite colte, l’altra metà a persone normali come me, così come i 270 following che seguo sono divisi equamente fra globalisti e populisti (essendo io un apòta mi trovo bene con entrambi: il problema è che loro, spesso, non si trovano bene con me). Il divertissement mio personale è sputare tweet ironici, ma mai partecipare al dibattito che a volte si innesca. Ne avevo appena scritto uno: “Vorrei andare a dormire ma non trovarmi domattina, al risveglio, la Troika in casa e il frigo imbullonato”. Poi mi venne: “Perché Monti ha rivelato una telefonata di Soros che lo invitava a chiamare la Troika? Disegno? Vanità?”. Non l’avessi mai fatto. Da giorni sono tempestato da tweet e da mail che mostrano come l’operazione 2011 bruci ancora nell’immaginario collettivo dei cittadini.

Il mio lavoro, utile per i miei Camei, consiste invece nell’analizzare i tweet delle élite colte, le loro battaglie in rete, specie sulla “scienza economica”. È divertente osservarli (mai mi permetterei di inserirmi), amano parlarsi addosso specie delle loro competenze che considerano scienza. In realtà, solo per me sia chiaro, gli economisti sono come noi manager, bravi specialisti ma non scienziati. Entrambi nelle nostre attività ripetiamo sempre le stesse formulette; Albert Einstein ci bacchettò: “ripetere sempre le stesse cose e attendersi risultati diversi, è da dementi”.

L’odio verso i due buzzurri è tale che l’establishment italiano e quello europeo potrebbero tentare, nelle prossime settimane, un’operazione tipo 2011. In tal caso, l’ultima “finestra” sarebbe proprio questa della legge di bilancio, dopo di che comincerà la campagna elettorale per le elezioni europee di maggio. L’obiettivo è chiaro ma bisogna inventarsi e mettere a punto la solita, maledetta execution. Come? Chi la si può praticare? Hanno sottomano un “podestà straniero” credibile come premier? Sono in grado di affittare un “sicario” per far abortire il governo Conte? Hanno transfughi a sufficienza per una maggioranza?

Matteo Salvini e Luigi Di Maio non sono il bolso Silvio Berlusconi di allora, non hanno tv e giornali però hanno la rete, sono in grado di riempire le piazze al nord, al centro, al sud in un battibaleno, cosa che oggi nessun altro è in grado di fare. Di sciogliere il Parlamento non se ne parla neppure, per le élite sarebbe un suicidio elettorale, al contempo deputati e senatori di ogni schieramento non lo permetteranno mai. Siamo nel classico cul de sac.

Riccardo Ruggeri, 12 ottorbe 2018