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“Nell’ultimo lavoro di Enfantin, La vie eternelle del 1861, l’androginia era presentata (…) come obiettivo dell’umanità“. Così scriveva J. H. Billington nel suo magistrale ed enciclopedico Con il fuoco nella mente. Le origini della fede rivoluzionaria (Il Mulino, 1986). Enfantin era il successore del fondatore Saint-Simon e ultimo capo dei sansimoniani, che attendevano un Messia donna. E infatti si erano sparsi per l’Oriente proprio per cercarlo/a, convintisi, chissà perché, che proprio da là dovesse venire Colei che avrebbe condotto l’umanità verso il suo fatale destino di gloria, pace e unità.

Quest’ultima trovata, come tutte le altre, era uscita dall’unico vaso di Pandora della Rivoluzione Francese, madre di tutti gli -ismi che da allora non hanno cessato di affliggere l’Occidente (che ne ha contagiato il resto del mondo e ancora insiste). Saint-Simon e i suoi seguaci erano la punta avanzata della rivoluzione del pensiero prima che spuntassero Marx e il suo sol dell’avvenire. Marx, che volle apposta chiamare il suo socialismo “scientifico” per distinguerlo dai vaneggiamenti sansimoniani. Al femminismo Marx non pensava nemmeno, parendogli cosa folle. Infatti, i giacobini fin da subito avevano ghigliottinata Olympe de Gouges e la di lei Dichiarazione dei diritti delle donne. Di più: alla fastosa Festa dell’Essere Supremo vollero che le donne assistessero da un settore separato. Ed era la prima volta che una cosa del genere accadeva in Francia.

Billington fece notare che “politicamente, alla fine della rivoluzione le donne erano messe peggio che all’inizio”. Fu con Napoleone III che i sansimoniani andarono a occupare “lucrose posizioni nelle banche, nell’industria e nel governo”. Lui, ex carbonaro, che nel 1839 aveva pubblicato Des idées napoléoniennes, libro venduto nella stupefacente cifra, per l’epoca, di cinque milioni di copie in pochi anni. Infatti, i sansimoniani avevano avuto gran parte nella costruzione del Canale di Suez e nello sviluppo delle ferrovie. Già: sognavano un mondo senza confini e distinzioni di razze. È appurato l’influsso di Saint-Simon su Comte, padre del positivismo. E per Salvemini quattro quinti delle idee di Mazzini erano d’origine sansimoniana. Tornando a Enfantin, e a proposito di razze, costui in una lettera del 1835 al correligionario (il sansimonismo si pensava come la religione finale, con tanto di rituali) meticcio Urbain (anche Dumas lo era, meticcio, frutto delle colonie francesi), confessava quanto gli mancasse “il tuo volto bruno”, quanto fosse affascinato dalla sua “carnagione scura”, e lamentava che “Dio non mi abbia concesso comunione con quella carne”. Eichtal, altro sansimoniano di spicco, “dimostra ancor più di Enfantin un’attrazione di tipo omosessuale per Urbain” (Billington).

Insomma, come si vede c’è già tutto. Tutto il nostro presente: il primato della donna, scavalcato ben presto da quello dell’omosessuale, che, ingegneria genetica permettendo, sarà a sua volta scavalcato dall’androgino, meta ultima e definitiva. Già gli artisti, che sono sempre in anticipo sui tempi e indicano la direzione, si presentano come “fluidi”, anticipati dalla fantascienza di Asimov che concludeva il suo ciclo de La Fondazione con un “uomo nuovo” finalmente androgino, mix perfetto di indistinto, di individualismo e collettivismo. Neanche Huxley aveva osato, e nemmeno la Torre di Babele. Che Dio sdegnò, diversificando le lingue. Viviamo, infatti, nell’universo, il cui etimo è “unità nella diversità”. Diversità. Solo così può nascere l’amore. Sennò è odio. O, peggio, indifferenza. Il cui etimo a sua volta è “nessuna differenza”.

Rino Cammilleri, 28 agosto 2024

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