
In uno dei suoi libri più visionari, Giulio Tremonti recuperò la definizione cinquecentesca di mundus furiosus per descrivere la situazione mondiale che stavamo vivendo. Dopo la scoperta delle americhe il paradigma globale cambiò e divenne caotico. Ad oggi, quel caos si ripresenta in forme nuove e con identica intensità.
Il mondo cambia al di là dell’oceano e oltre le catene montuose degli Urali, quel confine naturale dell’Europa decantato da De Gaulle e che vedeva compresa la Russia all’interno del mondo europeo contrapposto a quello americano e asiatico.
La visione trumpiana si fa materiale, adottando la “politica del pazzo” tanto cara a Nixon, nella quale la determinazione degli obiettivi avviene attraverso delle decisioni che potrebbero far sembrare pazzo chi le adotta. In realtà, è un modo per celarle, oltre che ad ingenerare nei potenziali nemici una qualche reticenza nel mettersi contro il potere americano. Ispiratore di Trump è in questo senso, incredibilmente, Noam Chomsky, grande pacifista ma razionale, fautore di un “umanitarismo militare”, ossia in sintesi perseguire la pace attraverso la minaccia. Una volta intesa come “deterrenza”, nel mondo post-moderno in cui viviamo un simile termine suona desueto e troppo complicato; parlare di un “pazzo” solletica invece le penne dei poco colti e induce a guardare il dito e non la Luna.
Molte delle mosse avventate di Trump sembrano muovere verso un grande disegno di indebolimento del nemico cinese, soprattutto dopo che la corsa all’intelligenza artificiale si fa sempre più affannosa per i tecnocrati della Silicon Valley, affannati nel non farsi superare dai cinesi i quali sembrano aver finalmente trovato qualcosa che sanno fare bene. In un paese di un miliardo di abitanti, il controllo sull’intelligenza artificiale significa possedere un laboratorio di sperimentazione potenzialmente illimitato. La gara è aperta.
Su questo fronte l’abbandono dell’Oms (notoriamente controllata dai soldi cinesi) e il tentativo di sganciare l’Argentina di Milei dal gruppo dei Brics filocinese verso la filo-occidentale OCSE. L’intesa apparentemente ideologica serve in realtà a questo. Non è un caso che i paesi sudamericani membri dei Brics, come il Brasile, siano di fatto i magazzini agricoli della Cina. La Cina dal canto suo si riorganizza puntando sul mondo virtuale, mentre quello reale sprofonda nella sfiducia e nel crollo del mercato interno che pare irreversibile. Ma come si sa (chiedete a Musk), chi controlla il virtuale ha buone speranze di controllare anche il reale.
Stretta tra i vasi di ferro si trova il vaso di coccio Europa; essa sopravvive come il più grande e prospero mercato di consumo del mondo ma niente altro. Nella foresta di regolamenti non si vede un progetto concreto di autonomia né virtuale né energetica né tantomeno militare. Ad est l’imperialismo grande russo ha trionfato, mostrando che qualsiasi minaccia alla stabilità dei confini (ciò che i russi chiamano “estero vicino”) verrà lavata col sangue. I negoziati per la fine della guerra cambieranno poco delle intenzioni di Mosca verso i suoi stati-satellite.
Con chi parlare per parlare con l’Europa? Di nuovo, e ancora una volta ci ripetiamo, vediamo come Europa e Unione Europea siano due entità ben distinte. L’Unione si adopera nei regolamenti green, l’Europa delle nazioni singole interloquisce singolarmente. Il ritorno degli stati coincide con il ritorno dell’economia reale, sempre più in affanno nel nostro continente. Il mondo e la storia si muovono, ma il vecchio cuore del mondo batte in affanno.
Francesco Teodori, 8 febbraio 2025
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