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La querela a Saviano

Murgia choc: “Meloni come la Camorra: perseguita Saviano”

L’assurdo parallelismo dell’intellettuale ospite da Floris. La difesa a spada tratta dell’amico scrittore

michela murgia

Eh niente, Michela Murgia ha scelto il ruolo di avvocato difensore delle cause perse. Non parliamo della querela in senso stretto, visto che l’eventuale condanna o assoluzione di Roberto Saviano si deciderà in Tribunale e non è detto che alla fine non la sfanghi; parliamo della difesa pubblica, di questo tentativo maldestro di certi intellò di giustificare quel “bastardi” che l’autore di Gomorra ha riservato al leader della Lega e quello di Fratelli d’Italia. Un’intemerata talmente maldestra da arrivare a formulare un infame parallelismo tra Giorgia Meloni e la Camorra.

La querela Saviano-Meloni

Chiunque abbia un po’ di sale in zucca (si può dire?) capisce benissimo che criticare le posizioni anti-immigrazione di Meloni e Salvini è una cosa, ovviamente legittima; insultarli in diretta tv a PiazzaPulita è invece tutt’altra. Non c’è bisogno di fare la vittima, schierare la stampa estera amica a proprio supporto e invocare chissà quale abuso di potere da parte del politico che querela il letterato. In fondo il ragionamento, fatto e finito, l’avrebbe già proposto Luciano Violante, magistrato ed ex presidente della Camera di sinistra, secondo cui bastardo non una è una critica legittima in nome della libertà d’espressione ma un’offesa e, pronunciata da un intellettuale che dovrebbe conoscere l’uso accorto delle parole, toglie il senso stesso di quel avrebbe voluto comunicare”.

Murgia a Di Martedì

Invece no. Ieri sera la Murgia, ospite di Giovanni Floris a Di Martedì, è tornata a difendere l’indifendibile. Neppure il conduttore è riuscito a far capire alla nostra che “bastardi” ha un “connotato di lotta e di violenza”. Per Michela è solo “un’invettiva”, o meglio uno “degli strumenti con cui gli intellettuali da sempre chiamano il potere a rispondere”. Due piccoli problemini, se così vogliamo chiamarli. Primo: siamo stati per dieci minuti sulla pagina dedicata dalla Treccani al termine e non siamo riusciti a trovare la definizione di “invettiva”, solo quella di “ingiuria”. Lo stesso dicasi per lo Zanichelli. Secondo: quando l’offesa venne lanciata, l’unico tecnicamente “al potere” era Salvini, non Meloni, che infatti non ha alcuna intenzione di ritirare la querela solo perché oggi è salita a Palazzo Chigi.

L’avvocato delle cause perse

Va detto che Murgia ieri sera non ha fatto una bella figura. Ha provato a dire che “Saviano non sta facendo la vittima”. Ha sostenuto che Meloni da premier avrebbe “un sistema alle spalle” che in Aula non la mette allo stesso livello di un normale cittadino. E ha ribadito che il premier può “pagarsi avvocati” che altri non possono permettersi. Il tutto condito da un certo snobismo secondo cui “gli intellettuali” (ovviamente, di sinistra) non possono essere toccati dalla giustizia. Ma Michela deve essersi persa la lettura in strada della predica di Saviano poco dopo l’ultima l’udienza. Deve avere così poca fiducia nella magistratura da credere che un giudice si farà condizionare dal fatto che sta giudicando la presunta offesa ricevuta da un presidente del Consiglio. E soprattutto deve aver controllato il 730 di Saviano e della Meloni, convinta com’è che il primo (autore di successo da milioni di copie) abbia meno capacità economiche della leader di partito. Io qualche dubbio ce l’ho.

“Meloni come la camorra”

Ma tanto non puoi pensare di ragionare con chi è convinta che oggi “due entità perseguitano Saviano: una è la camorra, visto che ha ancora la scorta; e l’altra è il presidente del Consiglio”. E come puoi discutere con chi sostiene erroneamente che sia la corte dell’Aja a “dire che quelle norme” sull’immigrazione “sono criminali”? Chi ha i paraocchi, non vede. Non vede bene il funzionamento base della giustizia: ovvero che se una Ong denuncia all’Aja i nemici Salvini, Minniti e Mogherini, non vuol dire che l’Aja li abbia già condannati per “crimini contro l’umanità”. Ma soprattutto non capisce che quel parallelismo tra Meloni e la Camorra grida vendetta. Intellettuale, s’intende. Ma non può non provocare indignazione bipartisan. Si spera che qualche amico, almeno stavolta, le faccia notare di averla sparata davvero grossa.

Giuseppe De Lorenzo, 7 dicembre 2022