di Matteo Milanesi
Chi di giustizialismo ferisce, di giustizialismo perisce. E il Movimento 5 Stelle ne sa qualcosa. Entrati in Parlamento per aprirlo come “una scatoletta di tonno”, i grillini si sono amalgamati a ciò che volevano combattere e distruggere. Da incendiari di destra allo sbando a pompieri che hanno virato a sinistra, dall’antieuropeismo al sostegno ferreo di Mario Draghi, dalla messa in stato di accusa del Presidente Mattarella alla sua rielezione; il grillismo configura il più grande vulnus politico-istituzionale della Seconda Repubblica. Il partito che doveva ricostituire la spaccatura tra demos e kratos, dopo il tramonto del berlusconismo, oggi rappresenta per definizione il palazzo del potere, il conformismo, il convenzionalismo.
M5s, da anticasta a democristiani
Per il riscoperto democristiano, nonché attuale ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, il Movimento 5 Stelle rappresenta i nuovi liberali, atlantisti, moderati ed europeisti. Per il fondatore Beppe Grillo, invece, i nuovi verdi, socialisti e pure progressisti. Per il leader sospeso, Giuseppe Conte, il riformismo ed il populismo sano. Esatto, quel populismo fatto di giacca, cravatta, trucco e pochette. In definitiva, il Movimento 5 Stelle esiste solo come miscela politica, come contenitore ideologico in cui tutto è ammesso e ammissibile: socialismo, liberalismo, progressismo, riformismo, ambientalismo, e chi ne ha di più ne metta.
Nonostante il lato tragico del suo tramonto, il Movimento rimane azionista parlamentare di maggioranza ancora per un anno, fino al termine della legislatura, nonostante gli oltre sei milioni e mezzo di voti persi in un solo triennio. Esatto, mentre l’avvocato del popolo rimarca l’exploit delle politiche 2018 e parla delle differenze tra “piano giuridico-formale e piano politico-sostanziale” nei salotti di Otto e Mezzo, il partito che non c’è più rimane il cavallo trainante della legislatura; incatenato nelle sale di Montecitorio alla ricerca della pensione parlamentare, che arriverà dopo il gong dei quattro anni e mezzo di legislatura, e che sistemerà comodamente centinaia di deputati e senatori non più rieletti a nuove urne.
Vis-Conte dimezzato
Insomma, l’avvocato del popolo, che doveva riportare ufficialmente i grillini ai consensi dei tempi gialloverdi, è tornato vis-Conte dimezzato. Lontani sono i tempi pandemici in cui l’ex premier si paragonava a Winston Churchill; remoti sono i momenti in cui i sondaggisti davano il neonato partito di Conte al 15 per cento; dimenticati anche i grandi elogi del “modello italiano” di sfumatura giallorossa. Quel Conte non c’è più, da un lato tramortito giuridicamente dalla sentenza del tribunale di Napoli che sospende la sua leadership; dall’altro, provato politicamente dai costanti dritti e rovesci di Luigi Di Maio, a cui si aggiungono quelli presunti di Beppe Grillo.