Sono in totale 118 le vittime dei due naufragi, il primo nei pressi delle coste crotonesi ed il secondo al largo delle acque libiche, avvenuti nei giorni scorsi e su cui i media mainstream, nonché l’opposizione, si sono scagliati contro il governo Meloni e la Guardia Costiera. L’accusa è di aver omesso – o meglio, ritardato – l’attivazione del cosiddetto Sar, ovvero l’operazione di soccorso in mare.
Nelle scorse ore, c’è chi ha imputato anche un’influenza politica che l’esecutivo di destra eserciterebbe nei confronti dei membri della Guardia Costiera, i quali – causa la politica maggiormente restrittiva del centrodestra sui flussi migratori – sarebbero implicitamente legittimati a compiere meno operazioni di soccorso, di fatto abbandonando i migranti in mare.
Sulla colonne del Corriere della Sera, però, l’ammiraglio Giuseppe Aulicino, classe 1964, a capo del Reparto Piani e Operazioni della Guardia Costiera, con alle spalle 40 anni di servizio, ha ribadito come stanno le cose, specificando come lui e i suoi ragazzi non abbiano nulla su cui essere rimproverati. “Due naufragi nel giro di pochi giorni, 86 morti nel primo, 30 nel secondo. Ammiraglio, c’è mai stata un’interferenza politica, un’indicazione sui vostri interventi?”, chiede il giornalista. La risposta di Aulicino è tranchant: “Non scherziamo. Il livello politico non ha mai dettato nemmeno una virgola ai nostri centri operativi. Assolutamente mai”. E ancora: “Le sale operative prendono le decisioni sapendo che di ogni singola decisione si è poi responsabili penalmente, e tenendo presente sempre la cosa più importante, cioè che la salvezza delle vite umane ha la precedenza su ogni cosa. Rispondiamo alle norme e alle convenzioni internazionali, non a qualcuno”.
L’operazione di soccorso, come ribadito dall’ammiraglio, non venne attivata perché il report di Frontex non segnalava una situazione critica. Anzi, “quando è stata avvistata la barca, non navigava in difficoltà. E non c’erano chiamate di richiesta d’aiuto a noi o a organizzazioni come Alarm Phone. Né hanno chiamato i parenti a terra di qualcuno dei migranti, come capita spesso”. Il caso non riguardava quindi un’operazione di soccorso, ma solo una a carattere investigativo, tant’è che venne interpellata la Guardia di Finanza, elemento decisivo che ha poi portato gli scafisti – a poche centinaia di metri dalla costa italiana – a dirottare il barchino collidendo con un roccia. Da quel momento, il mezzo ha cominciato ad imbarcare acqua. Poi la tragedia.
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Nel corso dell’intervista, l’ammiraglio specifica come non sia mai successo, né con il ministro Salvini né con altri, che il titolare del Viminale chiamasse per dire di fare o non fare qualcosa. “So che possono attaccare noi per attaccare la politica, ma forse stavolta siamo andati un po’ oltre. E, guardi, non lo dico per me. Lo dico per i ragazzi, per chi lavora ogni giorno in mare e sul territorio. Mi dispiace per loro che ci mettono l’anima, ogni giorno, per salvare persone in mezzo al mare e che poi vengono messi alla berlina, o chiamati “assassini”. Non so come la vede lei, io dico che parole così ingiuste fanno male”, sentenza l’ammiraglio.
Anche la versione della ong Sea Watch, secondo cui la Guardia Costiera avrebbe riattaccato al momento della chiamata di aiuto, è stata strumentalizzata dai media mainstream. Come specifica Aulicino, il famoso “ciao, ciao” del nostro operatore “era un saluto, non una scortesia. E poi ricordo che non siamo tenuti a dare informazioni a chi ci chiama. Sea Watch ci stava chiedendo informazioni operative, eravamo impegnati a salvare vite in mare. Va immaginato anche il contesto di quella chiamata”.