Politica

Il Terzo Polo scoppia

Né Calenda né Renzi. E vi spiego perché

Il leader di Azione può ancora giocarsi la carta del “nuovismo”. Renzi no: già testato dagli elettori

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Non voglio entrare nella confusa e scomposta diatriba che sta continuando senza sosta tra Matteo Renzi e Carlo Calenda. Sul piano squisitamente politico resto dell’idea che, essendo chiaramente fallito il progetto di creare un polo laico liberal-riformista che avesse un peso, per i due egocentrici personaggi l’incompatibilità personale non trovava più alcun bilanciamento nella raccolta di un consenso in caduta libera.

Sta di fatto che né l’ex rottamatore quasi rottamato e né l’ex ragazzo prodigio nato con la camicia, sostenuto da molti calci nel di dietro, allo stato attuale sembrano poter uscire indenni dalla palude dell’indifferenza generale in cui sono sprofondati.

Tuttavia, mentre Calenda ha dalla sua la possibilità di spendersi ancora la carta della nuovismo, che in Italia consente di ottenere risultati stupefacenti (pensiamo al travolgente exploit dei grillini alle elezioni del 2018), il leader di Italia Viva è stato ampiamente sperimentato dagli elettori, compiendo una rapidissima parabola che in breve lo ha portato dalle stelle di Palazzo Chigi alle stalle di un partitello in odore di estinzione.

D’altro canto, presentandosi da giovane rottamatore del Pd come una sorta di grillino civile, nel 2014, dopo aver silurato Enrico Letta con il celebre “stai sereno”, ottenne uno storico 41% alle elezioni europee, canalizzando sul suo partito le enormi aspettative che egli era riuscito abilmente a suscitare nel Paese.

Per approfondire

Ma da quel momento in poi, così come accade a tutti coloro i quali predicano l’avvento di un prossimo regno di Bengodi, è iniziata la fine del sogno egemonico di Matteo Renzi. Sogno pagato a caro prezzo dal sistema Paese nel suo complesso, dal momento che alcuni dei provvedimenti miracolistici adottati dal genio incompreso di Rignano sull’Arno gridano ancora vendetta.

Mi riferisco al famoso bonus di 80 euro, poi portati a 100 da quell’altro genio di Giuseppe Conte, che avrebbe dovuto creare portentosi rilanci dei consumi che non nessuno a mai visto. In sostanza l’economia italiana continuò a vivacchiare senza infamia e senza lode come sempre, mentre una ulteriore falla si aprì nel bilancio pubblico. Falla che lo stesso genio pensò di coprire aumentando la tassazione sulle cosiddette rendite finanziare, portandola dal 20 al 26%. Un provvedimento che, all’interno di uno dei più asfittici mercati finanziari dell’Occidente, nel quale ci sono più orsi che in Trentino, definire stupido e controproducente è dire poco.

Ma sul piano simbolico, soprattutto per un personaggio che ha sempre sostenuto di guardare ad un modello di evoluta e responsabile democrazia, che il nostro ha raggiunto l’apoteosi del controsenso, con l’ introduzione del canone Rai in bolletta, le cui molteplici finalità ancora oggi non sono state chiarite fino in fondo. Tuttavia, non volendo dar voce a quei maligni che sostengono che l’ignobile ricatto, della serie se non paghi il canone ti stacco la luce, fosse un bieco tentativo di comprarsi il consenso degli operatori del servizio pubblico, giornalisti in testa, la cosa in sé mi apparve all’epoca assolutamente inaccettabile sotto tutti i punti di vista.

Oggi poi, in cui la programmazione Rai, a parte lo sport e qualche raro programma di approfondimento, ha raggiunto livelli infimi, il canone in bolletta rasenta l’abominio. Un abominio, caro Renzi, che purtroppo porta la tua firma.

Claudio Romiti, 17 aprile 2023