Dario Antiseri è un infaticabile divulgatore. Scrive evidentemente alla velocità della luce e ogni volta ci stupisce. Credere, ripubblicato da Armando Editore, ha una bella e nuova prefazione che val la pena leggere.
Il tema è quello della religione, o meglio di Dio: della sua inevitabile esistenza, diciamo così. «Ma se è scomparsa la grande filosofia rimane e risorge senza sosta, irreprimibile, la grande domanda: perché l’essere piuttosto che il nulla?».
Si tratta di una domanda filosofica, a cui non può che darsi una risposta religiosa.
Antiseri cita Wittgenstein: «Pensare al senso della vita significa pregare. Il senso della vita possiamo chiamarlo Dio».
L’autore affronta in una veloce carrellata i tanti filosofi che della questione del credere e dell’ateismo, sua negazione religiosa, si sono succeduti. Molto bella l’interpretazione di Luigi Pereyson del pensiero filosofico di Pascal; un po’ più complessa, almeno per noi non addetti ai lavori, la teorizzazione dell’angoscia di Kierkegaard: ma non c’è da preoccuparsi il testo è chiaro e non per iniziati.
La fede è sempre un salto, ma il paradosso è che la medesima capriola la si deve compiere per giustificare il proprio ateismo. «L’ateismo non è una teoria scientifica: quale prova è disponibile per poter sostenere che il tutto-della-realtà è rigorosamente e convincentemente riducibile a quella realtà di cui parla e può parlare la scienza?».
E forse in maniera più chiara, Antiseri scrive: «E se è vero che la fede conduce al mistero di un Dio creatore, l’ateo non si trova anche lui davanti al fatto misterioso di un grumo di materia originario da cui si sviluppa la storia dell’universo?».
Insomma negare Dio in una qualche maniera vuole dire affermarlo, o comunque prenderlo in considerazione. E soprattutto affidare a «un grumo di materia» l’evoluzione del tutto, dove oggi ci troviamo noi, in fondo non vuol dire proprio affermare l’esistenza di Dio?
Questo si chiedono i filosofi credenti e Antiseri, tra loro. «La realtà è che la teoria evolutiva della vita non solo non cancella il problema religioso ma lo fa emergere».
Molto interessante infine, e questa è proprio materia del nostro autore, il rapporto tra scienze positive e religione.
La citazione di Max Scheler è fenomenale: «Bisogna innanzitutto farla finita con l’errore molto condiviso che la scienza positiva (e il suo movimento progressivo) abbia mai potuto e mai possa, fintantoché essa rimane nei suoi limiti essenziali, torcere un sol capello alla religione». Infatti «ciò che fa tremare una religione non è mai la scienza ma l’inaridirsi e il morire della sua fede stessa».
C’è infine una breve risposta di Norberto Bobbio che pone un dubbio (parola peraltro da cui parte tutto il libello) e si chiede: «E se quell’essere infallibile di cui non possiamo e non dobbiamo dire alcunché fosse al di là del bene e del male, indifferente a ciò che per noi uomini e per qualsiasi altro essere vivente è bene o male».
Insomma Bobbio risponde sul campo dei fenomeni, degli accidenti e non della sostanza. E se Dio, retoricamente si chiede il filosofo torinese, fosse indifferente a noi? Beh non toglierebbe, direbbe Antiseri, la sua immanenza.
Per prendere un po’ di respiro: poi possiamo ritornare alla campagna elettorale, alle foto di Melissa Satta, alla flat tax e alla Bongiorno candidata con Salvini.
Nicola Porro, “Il Giornale” 21 2018