Se ad un appassionato di storia Usa, ma forse non solo, dovessimo chiedere quali sono le prime tre cose che associa allo stato americano della Virginia, non vi sarebbe dubbio alcuno sulla risposta: George Washington, Thomas Jefferson e Robert Edward Lee.
Via Lee, dentro Johns
Non è un caso che i primi due, rispettivamente primo e terzo presidente degli Stati Uniti d’America, siano raffigurati sull’iconico monte Rushmore e celebrati in vario modo in tutto il paese, mentre il terzo, l’amatissimo (per lo meno negli stati del Sud) condottiero confederato, sia forse il generale più celebre della storia recente, dopo Napoleone. E infatti, fino a ieri la sua statua, insieme proprio a quella del grande Padre Fondatore, rappresentava lo stato della Virginia all’interno della National Statuary Hall del Campidoglio di Washington, una sala in cui si trovano le statue di due personaggi di grande rilievo per ogni stato dell’Unione. Fino a ieri però. Già, perché per volontà del governatore della Virginia, il democratico Ralph Northam, il monumento che rendeva omaggio al generale Lee, e che si trovava in quel luogo dal 1909, è stato rimosso. Troppo controverso e divisivo secondo la nuova ideologia liberal. “Non si può celebrare chi ha combattuto in difesa della schiavitù”, ha affermato Northam.
Ma non è finita qui: indovinate un po’ chi prenderà il posto del comandante dell’Armata della Virginia Settentrionale a Capital Hill? La celeberrima Barbara Rose Johns. Chi era costei? E chi se non un’attivista afro-americana, nata a New York fra l’altro, che si batté contro la segregazione razziale nelle scuole pubbliche della Virginia, dove visse con la sua famiglia. Per la gioia della sinistra massimalista americana, del movimento Black lives matter e dei gruppi femministi perché la Johns sarà la prima persona di origine afro-americana e una delle poche donne ad accedere alla Sala delle Statue. Ora, con tutto il rispetto per la persona e per ciò che ha fatto per combattere un fenomeno odioso come il razzismo, abbiamo però il dovere di dire che questa scelta ha tutta l’aria di una forzatura, certamente strumentale e, se ci è concesso affermarlo, anche vagamente patetica.
La storia non mente
Senza entrare nel merito della Guerra Civile americana e delle principali ragioni per cui fu combattuta, non si può nemmeno lontanamente paragonare quello che il generale Lee ha rappresentato per la Virginia e per l’intero vecchio Sud, non solo alla figura della Johns ma a quella di qualunque altro virginiano al di fuori dei due presidenti sopra citati. Il comandante in capo dell’esercito sudista non è stato solamente un personaggio storico ma è diventato mito, un archetipo di valore, onore, genio militare, compassione e religiosità. Valori positivi che gli furono riconosciuti anche dai vincitori della guerra, primo fra tutti il generale nordista e poi presidente Ulysses S. Grant, divenuto paradossalmente meno celebre forse rispetto all’avversario. Tanto per dire della immensa grandezza di Lee, vincitore anche nella sconfitta.
Mi si dirà che qui non si parla di storia ma di simboli. Di ciò che quel personaggio rappresenta in relazione ad un fatto etico e ad una società multietnica. Ma come si fa ad escludere la storia dal ragionamento? Ed è giusto giudicarla con i canoni morali dell’oggi? La storia, che al contrario degli uomini e della politica non mente, ci dice che Lee fu persona contraria alla frantumazione dell’Unione, antischiavista sebbene abbia posseduto schiavi per qualche tempo come era costume allora in molti stati americani, compresi quelli del Nord, la cui unica “colpa” è quella di aver combattuto fedelmente in difesa del suo amato stato nativo, la Virginia. E che, con la sua abilità fuori dal comune, nonostante la grande inferiorità di risorse a disposizione, fece tremare i palazzi di Washington da cui ora viene ripudiato.
Questione politica
Ci sarebbe moltissimo da dire sulla Guerra Civile e sul generale Lee. Ma la polemica sulle statue confederate è ormai qualche anno che ha preso piede in Usa e francamente credo sia inutile continuare a parlare di storia, quando dall’altra parte si fa solo politica. Piaccia o meno le statue di Lee e dei grandi condottieri del Sud verranno rimosse dai luoghi pubblici di tutta l’America e internate nei musei. Così come pian piano verranno eliminati o rivisitati tutti i rimandi storici di quel periodo, dalle bandiere statali fino al cinema: già oggi, se si vuole guardare “Via col Vento” sulle piattaforme d’intrattenimento Usa, viene consigliato di documentarsi prima sul sito di Blm, tanto per dire fino a che punto sta arrivando l’indottrinamento liberal. La Guerra fra gli Stati, infatti, fa parte di un passato scomodo di cui ci si vuole liberare per questioni principalmente elettorali, da una parte e dell’altra, al fine di mantenere la pace sociale e costruire gli Stati Uniti di domani. E questo processo è ormai irreversibile.
Lee e il discorso al Campidoglio di Richmond
Ecco perché forse l’unica cosa che vale la pena fare è cogliere queste occasioni per rendere omaggio alla memoria del grande generale. E scelgo di farlo fare riportando, fra i tanti, l’emozionante discorso che Lee fece al Campidoglio di Richmond, (dove un’altra sua statua è stata rimossa lo scorso luglio), in occasione della sua nomina a comandante delle truppe della Virginia:
“Signor Presidente, Gentiluomini della Assemblea,
profondamente impressionato dalla solennità dell’occasione, per la quale devo ammettere di non essere preparato, accetto la posizione che mi è stata assegnata dalla vostra parzialità. Avrei preferito di gran lunga che la vostra scelta fosse ricaduta su di un uomo più abile ma affidandomi a Dio Onnipotente, ad una coscienza che approva, e all’aiuto dei miei concittadini, io dedico me stesso al servizio del mio stato nativo, unicamente nel nome del quale, io sguainerò ancora una volta la mia spada!”