Tre rilasciati da Hamas con la solita sceneggiata di sempre. Ma a fianco al faticoso rilascio di civili e soldati israeliani, si accende una nuova miccia che sotto un apparente questione lessicale, cela i semi di una rottura ancora più globale fra Israele, ma anche le comunità ebraiche nel mondo, e le organizzazioni internazionali (in primis le Nazioni Unite, ma anche una Croce Rossa che in molti sospettano di connivenza con l’organizzazione terroristica islamica). Per non parlare poi della maggioranza dei media internazionali.
“Chiamare ostaggi gli uomini e le donne di Israele detenuti nei sotterranei di Gaza – sottolinea un numero crescente di intellettuali ebrei – non è solo improprio e falso, ma anche vergognoso e nauseante.”
Non sono OSTAGGI gli uomini e le donne di Israele che sono morti o stanno bruciando la loro esistenza nei cunicoli di Hamas, sono “RAPITI”.
Si chiama ostaggio, nella terminologia del diritto internazionale, la persona data o presa in garanzia dell’esecuzione di obblighi derivanti da un trattato, o da norme di guerra universalmente riconosciute, o anche dal beneplacito di un vincitore. Così recita l’Enciclopedia Treccani. Ma nella prigionia di Gaza dopo il 7 ottobre non c’è nulla di negoziato, non si cela un trattato internazionale. Ci sono invece tutti tratti distintivi di quel verbo rapire che è pura violenza e che è alla radice etimologica anche della parola “rapace”.
Alla fine del XIV secolo, rapen significava “afferrare preda; rapire, prendere e portare via con la forza,” da rape (sost.) e dall’anglo-francese raper (antico francese rapir) “sequestrare, rapire,” un termine legale, probabilmente dal latino rapere “prendere, portare via con la forza, rapire”.
Nulla di anche vagamente negoziale, nulla neanche lontanamente riconducibile al diritto internazionale. L’ostaggio non è strappato alle sue case, dopo aver assistito allo scempio dei corpi dei suoi cari. L’ostaggio – come recita la sua etimologia – è hospes, ospite. Finché gli obblighi, in garanzia dei quali fu consegnato, sono in stato di pendenza, l’ostaggio gode di un’immunità pari a quella di un ambasciatore: adempiuti tali obblighi, dev’essere restituito, anche se lo stato consegnatario abbia da far valere contro il consegnante pretese di diversa natura.
I giovani e le giovani strappati dai kibbutz vicino a Gaza o dal Festival nel deserto, possono essere solo equiparati e definiti “RAPITI”: rapiti di mafia rapiti di camorra, rapiti di Hamas, o delle altre organizzazioni dell’estremismo islamico che riconsegnano (quando lo fanno ) gusci vuoti, corpi privati dell’energia vitale.
Non si tratta quindi di un distinguo etimologico. Qualcuno con i capelli bianchi ricorda i collettivi che urlavano nelle piazze italiane: “né con lo Stato né con le Brigate Rosse”. Nel caso di Hamas non c’è neppure questa alternativa: le organizzazioni internazionali e in primi le Nazioni Unite, ma anche tanti media schierati per ideologia o per vantaggi occulti, stringono con piacere la mano insanguinata di rapitori o forse, seguendo il filo logico dell’etimologia, l’artiglio di rapaci assetati di sangue.
Bruno Dardani, 16 febbraio 2025