Nel crollo gli unici innocenti sono le vittime

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Questo Cameo è stato scritto il giorno dei funerali delle 38 vittime, anche se già sappiamo che saranno di più. Che gli aspetti politici, giudiziari, economico-logistici di questo dramma nazionale siano in buone o pessime mani lo vedremo. Vorrei riportare, nel momento dal distacco dal mondo di nostri sfortunati concittadini, il problema “Ponte Morandi” a una dimensione più culturale che politica. Facendomi una domanda, alla quale non ho risposta: perché metà delle famiglie ha rifiutato i funerali di Stato (e gli altri pretendono dal Presidente Mattarella i nomi dei colpevoli), il massimo riconoscimento civile? Chiaro che il paese è spaccato, ma lo scollamento fra politica e società civile è arrivato a un tale punto di non ritorno? Onestamente non lo so, ma lo pavento. Se questo processo si innesca, si sappia che è irreversibile.

Un punto però dev’essere fermo: nella caduta di un ponte, con delle persone che lo attraversano, la fatalità non esiste, esiste solo la colpa umana. Certo, un ponte può essere stato progettato male, può aver avuto una scadente manutenzione, quindi può (deve) essere abbattuto. E diventare materia di contenziosi fra i soggetti interessati e le assicurazioni.

Ma un ponte con delle persone sopra non può cadere, il (i) colpevoli sono facili da individuare e devono pagare, così come tutti quelli che hanno loro tenuto il sacco. A maggior ragione se ti facevano pure pagare un pedaggio per attraversarlo.

Il Procuratore di Genova mi pare partito con il piede giusto, correttamente ha chiesto fondi illimitati per poter svolgere il suo compito e gli devono essere dati e illimitate sono pure le sue libertà di cercare la verità e le responsabilità. Avrà a disposizione una documentazione imponente nella quale scavare, persone da interrogare. Sa che avrà di fronte l’élite degli avvocati e degli esperti del Paese che non potendo negare le evidenti responsabilità cercheranno di minimizzare i danni palleggiandosi la responsabilità fra di loro. Curioso che mi sia venuto in mente il celebre caso dei coniugi Bebawi del 1964, e l’incredibile sentenza che ne seguì: tutti colpevoli, tutti assolti. Potrebbe essere una disperata strategia difensiva? Sono curioso che linea di difesa sceglieranno, ai tempi del Web i vecchi modelli non è detto che funzionino.

Qua, innocenti sono solo le vittime, sia i morti, sia i vivi. Questi ultimi o sopravvissuti alla caduta o coinvolti perché sotto il ponte vi abitavano ma che dalla sera alla mattina sono diventati “sfollati di guerra”, saranno avversari tosti. Tutti gli altri erano informati sui fatti. Se acquisti titoli di un’azienda che ha bilanci sontuosi e quindi ti dà dividendi coerenti sai che, per la legge del mercato tanto citato, spesso a sproposito, possono (devono) esserci rischi alti. Innocenti non sono i controllori pubblici, innocenti non sono i governi che si sono succeduti. Ma questi sono problemi nelle mani del Procuratore e del Governo Conte che dovrà gestire con fermezza ma con intelligenza il dopo. Al Procuratore presentare il “conto penale”, al Governo fare pagare fino all’ultimo centesimo i colpevoli.

Vorrei ricordare che i romani, i più grandi progettisti e costruttori di ponti di ogni epoca, avevano individuato nel Pontifex Maximus (pontifex: magistrato addetto alla costruzione di ponti) il più alto grado sacerdotale nella governance di Roma. Al punto che la Chiesa cattolica usò questo titolo per indicare il Vescovo di Roma (ponte fra l’uomo e Dio).

Vorrei ricordare che sulla Rete sta cominciando a dilagare la psicosi crolli, riferita all’informazione (vera o falsa non so) di 10.000 ponti (e viadotti) ormai “scaduti” o da “revisionare”. Non si mischino i problemi. Con l’occasione ricordo pure che tra le sindromi mediche c’è la “Gefirofobia” (dal greco “gephyra”, ponte e “phobos”, paura), una paura persistente, anormale, ingiustificata di attraversare i ponti. È molto studiata in America, ove mi dicono (anche se non ci posso credere) che in alcune città ci siano sui ponti più trafficati dei vigili che aiutino i guidatori a superare questa fobia.

Nello scontro (epocale) fra il top dei legali dei presunti colpevoli, i legali delle vittime, l’Avvocatura dello Stato chissà se anche la gefirofobia non avrà pure lei un suo ruolo.

Chiudo con una frase di Thornton Wilder, che romanzò la caduta nel 1714 del Ponte di San Luis Rey (titolo del libro), giudicato il più bello e il più sicuro del Perù, nella sua epoca d’oro. “Vi è un Paese dei vivi e un Paese dei morti, e il ponte che ci collega è l’amore, l’unica cosa che resta, la sola cosa che abbia un senso”.

Riccardo Ruggeri, 18 agosto 2018

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