La prima partita di nomine in quella che un tempo erano le partecipazioni statali, e oggi sono le partecipazioni della potentissima Cassa depositi e prestiti (attenti a criticarla troppo che cancella la pubblicità) si è conclusa. Confermate le caselle che contano in Snam, Italgas e Fincantieri. La vera partita si giocherà l’anno prossimo, con le scadenze pesanti di Poste, Eni ed Enel. Ma chissà chi ci sarà nel 2020 a mischiare le carte. Per ora accontentiamoci del risultato di quest’anno che è stato nella continuità ed è un bene.
Significativo un pezzullo dell’agenzia internazionale Bloomberg, non perché essa sia particolarmente informata. Ma perché, come è inevitabile, è piuttosto letta da chi fa affari e non è italiano. E all’indomani delle nomine e di alcune conferme ha notato che si tratta “dell’ennesimo colpo portato a segno dalla Lega” partito si nota “Business friendly” in una coalizione, come si vede in queste ore, decisamente divisa. La visita del sottosegretario alla presidenza del consiglio Giorgetti appena conclusa negli Stati Uniti e alcuni dossier caldi su banche e finanza gestiti dalla Lega, hanno un effetto tranquillizzante verso i mercati. Anche se non si può dire che il tour americano di Giorgetti sia stato un trionfo: al contrario pochi incontri davvero strategici.
Dunque dopo settimane di schermaglie tra grillini e leghisti, la conferma di Bono alla guida di Fincantieri e di Marco Alverà e Paolo Gallo, rispettivamente a Snam e Italgas, sono i primi segni che il governo del cambiamento non vuole combinare pasticci in un pezzo importante del Pil italiano. In realtà chi conosce bene le cose dice che più che una vittoria della Lega Business friendly è stata una sconfitta del sottogretario Buffagni, in quota Cinque Stelle. I nomi che aveva proposto per la sostituzione dei tre capi azienda non sono stati considerati all’altezza. Ha avuto allora buon gioco il ministro del Tesoro Tria, con l’appoggio non solo della Lega, ma anche del grillino Di Maio nel fermare le opzioni di cambiamento made by Buffagni.
Nei giorni scorsi è morto un funzionario dell’Agenzia delle entrate, classe 1962, lascia tre figli. In pochi scriveranno di lui. Il suo primo infarto lo ebbe quando fu rinviato a giudizio per un’inchiesta su una questione interna davvero bagatellare (un passaggio di fascia). L’ultimo colpo al cuore gli è stato fatale. Nella medesima inchiesta ci sono altri rinvii a giudizio per dirigenti e funzionari dell’Agenzia delle Entrate. I giornali quando l’inchiesta partì diedero, come si suol dire, ampio risalto alla vicenda: c’erano tutti gli ingredienti, funzionari dell’agenzia delle entrate, irregolarità, che ahinoi non sono mai presunte e da dimostrare. Questi signori sono funzionari dello Stato, le loro carriere, comunque finisca, sono compromesse. A differenza di Scaglia, vi ricordate la maxi inchiesta Fastweb che si concluse con un nulla di fatto, non hanno il patrimonio e le risorse per fare della loro storia giudiziaria un caso.
È morto un funzionario delle entrate. Dal giorno del suo rinvio a giudizio non ha ancora avuto un’udienza per poter urlare la propria innocenza. E come lui i suoi colleghi. Che a differenza sua sono ancora vivi, ma per la giustizia e l’amministrazione pubblica sono morti che camminano. Così non va.
Nicola Porro, Il Giornale 9 marzo 2019