“Un caso di Stato”: così viene titolata la vicenda che vede protagonista il calciatore senegalese del Psg, Idrissa Gueye. Inchiodato al muro del politically correct, l’atleta avrebbe commesso l’imperdonabile errore di aver scelto di non giocare a Montpellier nella giornata di lotta alle discriminazioni di genere. La squadra è infatti scesa in campo con le maglie arcobaleno, in segno di vicinanza e sostegno alla comunità Lgbt: Gueye no. Non l’ha fatto e non è la prima volta: lo scorso anno, nella stessa occasione, aveva glissato dandosi malato, ma quest’anno i tentativi di tenere le motivazioni personali a casa propria sono andate vane e le sue credenze, valori e tradizioni sono state sbandierate e date in pasto ai famelici del web.
Il giocatore senegalese è stato quindi implicitamente – ma non troppo – costretto a spiegare la propria, personalissima e rispettabilissima, in quanto non ha leso nessuno, decisione: in Senegal l’omofobia è reato, punibile fino a 5 anni di carcere. Ed è ecco che le scelte etiche e morali di una persona – condivisibili o meno – scatenano il caos nella sinistra francese che, per principio, non si capacita di come possa essersi creato questo “paradosso”: Gueye è nero e musulmano, in pratica il simbolo perfetto del politicamente corretto occidentale, però non apprezza le fluidità di genere. E la sinistra va così nel caos, incastrata com’è tra considerarlo una vittima di razzismo, un esponente di una minoranza religiosa eppure potenzialmente “omofobo”.
Senza contare il cortocircuito venutosi a creare ne nel fatto che è nero E islamico, quindi vanno in crisi perché sono incastrati tra vittima di razzismo, minoranza religiosa e però pure tendenza omofoba
La Federazione, dopo aver interrogato il pericoloso criminale, ha infatti deciso di avviare un indagine – su cosa non si capisce -, a seguito anche il Presidente della regione parigina, Valrie Pecresse che ha, a gran voce, reclamato una sanzione per il giocatore, per poi concludere la sfilata con il Ministro uscente allo sport, Roxana Maracineanu, che ha tuonato: “Oscura l’immagine che si tenta di veicolare con il calcio”.
Facendo chiarezza, quindi, e attenendoci a fatti, un giocatore ha tenuto fede alla sua religione e ai suoi valori semplicemente non indossando una maglietta e decidendo, per non dare scandalo o turbare le anime pure, di non presentarsi alla partita. Per questo ha ricevuto, oltre alla gogna mediatica, indagini, possibili sanzioni e il bollino di “omofobo della Francia”, notizia che ha fatto il giro di tutti i giornali. Sarebbe questa la libertà di espressione che, in primis, la comunità Lgbt – e la sinistra democratica, aperta e rivoluzionaria – tanto rivendicano?
Ma la questione si è spinta anche oltre i confini europei, arrivando al paese di origine di Gueye, con la scesa in campo del Presidente Macky Sall che su Twitter ha scritto: “Io sostengo Idrissa Gana Gueye. Le sue convinzioni religiose devono essere rispettate”. In suo sostegno anche due giocatori della nazionale che si appellano ai valori senegalesi con cui sono cresciuti. Il caos mediatico, però, ha aggravato maggiormente le cose: è spuntato fuori un video, pubblicato sull’affidabilissima fonte Tik Tok, in cui un uomo viene picchiato a Dakar da un gruppo di persone. Motivo? Omofobia, ovviamente. Causa? Il giocatore senegalese che ha infuocato gli animi dei senegalesi provocandoli a pestare a sangue un povero cittadino.
Una dinamica non solo diffamatoria per il calciatore, ma un messaggio pericoloso per tutte quelle generazioni che si stanno affacciando al mondo.
In conclusione, la contraddizione delle contraddizioni: richiedere sanzioni per una persona che ha palesato pacificamente il diritto di esprimere la propria libertà di culto, per difendere coloro che lottano per veder riconosciuti i propri diritti? E non solo: obbligare qualcuno, in questo caso una personalità famosa nel mondo calcistico, a dare un calcio alle proprie credenze. È diventato forse un obbligo, malamente celato, quello di essere in linea con il pensiero Lgbt? Sembrerebbe di sì.
Niente di nuovo, comunque: un cortocircuito in tipico stile dem, con una sinistra acciecata dall’apparenza e dal consenso, che inciampa nelle sue stesse stringhe. Se questa è la linea, però, non stupiamoci se tra qualche tempo vedremo indiani costretti a mangiare mucche!
Bianca Leonardi, 21 maggio 2022