La sala di Piazza Sansepolcro a Milano oggi è occupata da un commissariato. Ma cent’anni fa era il salone degli industriali ove Mussolini creò i fasci di combattimento. Ma è proprio vero che lì nacque il fascismo, che da li è partito tutto, come raccontano oggi i giornaloni mainstream? Niente affatto. La riunione fu un flop, come un flop fu l’esperienza elettorale dei fasci mesi dopo, che non elesse nessun deputato. Se in quel periodo Mussolini fosse per caso morto in uno dei duelli che amava intraprendere, il fascismo non sarebbe mai nato.
Inoltre l’ideologia di questo sansepolcrismo poco o nulla aveva a che vedere con quella che si sarebbe vista un paio di anni dopo, per non parlare di quella del regime. Era un mix di anarchismo, sindacalismo rivoluzionario, repubblicanesimo: semmai anticipò i Black Block, più che Gentile e Bottai.
«Eh, ma a San Sepolcro c’era l’esaltazione della violenza e l’odio verso la democrazia». Certo, molta meno però di quella che si respirava nei congressi, nelle manifestazioni e nella adunate socialiste, che volevano fare come in Russia e che menavano a destra e a manca in quel periodo – non a caso chiamato biennio rosso.
Il fascismo non nacque a Piazza San Sepolcro ma semmai nel 1921, il 9 novembre per la precisione, a Roma, dove il confuso, anarcoide e inconcludente movimento, nel frattempo cresciuto, si trasformò in Partito nazionale fascista.
Naturalmente la propaganda fascista insistette sempre sul 1919, sul sansepolcrismo, perché il fascismo non volle mai, neppure negli anni del regime, abbandonare l’identità rivoluzionaria che l’aveva caratterizzato fin dall’inizio, propria di un movimento che, come mostrò a suo tempo Renzo De Felice, fu un’eresia della sinistra.
Fa sorridere quindi che oggi opinionisti, storici della domenica e pure storici accademici interpretino il fascismo tenendo per buona l’immagine che il fascismo diede di sé. Ma la realtà è che nessuno ama di più il fascismo che gli antifascisti, soprattutto quelli di sinistra.
Ne abbiamo l’ennesima prova oggi, in una lenzuolata su «Repubblica» di Antonio Scurati, autore lo scorso anno del romanzo M., sul primo Mussolini, infarcitissimo di errori fattuali ma di cui consigliamo comunque la lettura. Siccome Scurati ha spiegato che si candida al premio Strega per «antifascismo», legittimamente si sta dando da fare perché i giurati non possano che votare per lui.
Cosa si deduce dall’articolessa di Scurati? Che il fascismo è ancora vivo dentro di noi, come scrive. Dentro di loro, intellettuali di sinistra, certamente. E almeno per quattro ragioni:
1) perché se fascismo è sinonimo di intolleranza, loro lo sono al massimo grado;
2) perché in realtà anche la sinistra sogna l’uomo forte ma negli ultimi tempi non ha saputo produrre che Bersani, Gentiloni, Zingaretti (Renzi non è considerato dotato di pedigree di sinistra);
3) perché colma il pluridecennale e totale vuoto di idee della cultura di sinistra;
4) perché gli fa vendere libri, conquistare premi: fa guadagnare loro bei bigliettoni.
Che dire, fosse solo per quest’ultimo aspetto, quello di far girare l’economia, ben venga l’antifascismo. Però il clima da Uomini e no, per citare la involontariamente comica copertina de L’Espresso di qualche mese fa, sta facendo sbarellare anche molti storici accademici. Quelli riuniti nella Sissco, Società per lo studio della storia contemporanea, si sono così decisi di passare anche loro all’antifascismo attivo e militante. Contro chi? Ma contro il povero Antonio Tajani, che negli ultimi tempi parla come un Gentiloni qualsiasi, ma che ha osato dire qualcosa di terribile: che il fascismo ha bonificato le paludi e ha costruito case e ponti!
Ma se è cosi, aveva ragione la sciagurata Laura Boldrini, allora ancora presidente della Camera, quando si augurò che tutte le vestigia del fascismo, compresi quindi ponte e strade, oltre che edifici e monumenti, fossero spazzati via dalla ruspa progressista e di sinistra. Rimane solo un dubbio: come riportare le paludi a Sabaudia?
Marco Gervasoni, 23 marzo 2019