Netanyahu e Trump, i due leader disprezzati dai giornalisti colti

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Speciale zuppa di Porro internazionale. Grazie a un nostro amico analista che vuole mantenere l’anonimato, il commento degli articoli tratti dai giornali stranieri.

Lo sfogo sul suo quotidiano il 10 aprile, di un grande inviato del New York Times come Thomas L, Friedman (un liberal moderato capace nella guerra dell’Irak del 2003 di sostenere George W. Bush) contro la vittoria di Biby Netanyahu merita di essere letto con attenzione. La tesi sostenuta è che il rieletto premier di Israele e Donald Trump siano fatti della stessa pasta (l’unica distinzione è che il primo legge molti libri e capisce di più di politica estera) ed entrambi sono una minaccia per le loro nazioni: sono sfacciati, appoggiati da partiti privi ormai di spina dorsale e fatti sempre più sulla misura dei loro leader, sono capaci di superare tutti i limiti ragionevoli che erano stati fissati nel passato, non hanno rispetto per la decenza in politica, si appoggiano a pulsioni razziste di israeliani anti arabi e di suprematisti bianchi americani, sono bugiardi, corrotti, non rispettano le istituzioni sovranazionali e provocheranno danni non solo per i loro Paesi ma per tutto il mondo.

Friedman riconosce che entrambi colgono elementi della situazione reale (Israele è obiettivamente minacciata dall’Iran e negli Stati Uniti vi è ad esempio un problema di immigrazione incontrollata) ma gestiscono questi temi solo con un culto crudo, forsennato del proprio potere personale sacrificando a questo valori, principi, rispetto della legalità.

Che dire, un articolo come questo svela non tanto il carattere di Netanyahu o di Trump, leader che hanno una ben più complessa struttura politica, quanto l’impotenza anche intellettuale di osservatori colti, intelligenti della realtà internazionale ai quali però sfugge la portata dei problemi in ballo. Siamo in una situazione in parte determinata anche da errori dei repubbicani che impostando la seconda guerra dell’Irak come lotta per esportare il liberalismo hanno sottovalutato la minaccia del fondamentalismo islamico sia nella sua componente sunnita sia nel suo cuore cioè quello della sciita Teheran, e hanno poi di fatto avuto anche un atteggiamento di irresponsabile tolleranza per una Parigi e una Berlino che nel 2003 non solo si sfilarono ma aiutarono a sfilarsi dalla solidarietà occidentale Russia e Turchia, con i gravi guasti che questo comportò negli anni successivi.

Gli errori repubblicani sono poi stati incredibilmente incrementati dalla catastrofica politica estera di Barack Obama, John Kerry e Hillary Clinton che con la complicità di politici come Nicolas Sarkozy e poi Emmanuel Macron (con la parentesi dell’inutile François Hollande) e di Angela Merkel  sostenendo un ubriaco multilateralismo hanno costruito una base per un egemonismo cinese che se se si consentirà a Pechino di saldarsi a Mosca, diventerà la base per fare del Vecchio Continente – come ha bene osservato Henry Kissinger – un’appendice di un vero e proprio blocco euroasiatico, offrendo così anche ottime chance per i vari fondamentalismi islamici di inserirsi in questo processo.

Netanyahu e Trump hanno rappresentato e rappresentano l’unica risposta reale alle sfide poste da questo scenario, la forma in cui la esprimono è certamente spesso un po’ selvaggia ma è tale anche per sfondare il muro di irresolutezza che osservatori come Friedman colti, intelligenti ma con il cervello e le analisi che gli sono andati completamente in acqua, hanno così solidamente costruito.

 

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