La ferocia di Nicola Lagioia, dopo aver vinto il Premio Strega 2015, dopo il trionfo in Italia per Einaudi, è stato incredibilmente tradotto anche negli Stati Uniti. La speranza è che i lettori americani – ormai abituati agli spaghetti dell’Oklahoma e alla salsa di pomodoro del Quebec “made in Italy” – tornino a leggere Italo Calvino. La notizia importante è che l’interrogativo sul successo della Ferocia forse ha trovato una soluzione: l’incomprensibile neo-lingua di Lagioia non sarà forse uno slang italo-americano? Non si spiega altrimenti lo stile neo-geroglifico che troviamo tra le pagine del libro.
Il problema già per il lettore italiano è decodificare la scrittura di Lagioia: come sarà possibile tradurlo? Una missione quasi impossibile perché leggere le pagine di Lagioia è un continuo chiedersi: “Ma cosa significa?”. E si comincia molto presto, a pagina 7, con un frammento di puro aramaico: “Non era molto oltre la trentina, ma non poteva avere meno di venticinque anni a causa dell’intangibile rilasciamento dei tessuti che trasforma la sveltezza di certe adolescenti in qualcosa di perfetto”. Cosa vuol dire? “L’intangibile rilasciamenti dei tessuti”, “la sveltezza di certe adolescenti”, e soprattutto quell’esercizio d’illogica iniziale: non era molto oltre i trenta, cioè era certamente oltre i trenta, “ma” non poteva avere meno di venticinque anni. Il giallo rimane.
Si arriva alle pagine 10 e 11 ed ecco un altro misterioso frammento: “Il grossista aveva l’aria di chi è convinto di non avere superato il confine che taglia in due l’aspettativa di vita, né di correre il rischio di farlo”. Qualcuno può decodificare il senso? Innanzitutto: cosa vuol dire “superare il confine che taglia in due l’aspettativa di vita”? E come si taglia in due l’aspettativa di vita? E ancora, in cosa consistono le due parti tagliate?
A pagina 15 interrogativi di cosmo(a)gonia: “Gli errori si erano accumulati nel vuoto spazio primordiale dove le biografie vengono scritte prima che il debole inchiostro degli eventi le renda attive e comprensibili”. A pagina 21 si prosegue con passa a teorie di Estetica da estetista dell’editoria: “Alto e abbronzato, in abito di lino tagliato su misura, stringeva tra le labbra una smorfia soddisfatta che nessun sarto avrebbe ricondotto a una tradizione più vecchia di dieci anni”. Quindi il sarto taglia non soltanto i vestiti ma anche le smorfie? E due pagine dopo: “Giacca e pantaloni ricadevano nel facsimile dell’eleganza, un volontario passo indietro rispetto a quella vera ma solo per farle strada”.
E come se non bastasse, a pagina 23: “I loro volti godevano di uno speciale rilasciamento, l’apparente ebetudine dei privilegiati in cui Vittorio ritrovava una ulteriore forma di intelligenza. Nessuna traccia del foglio metallico che annerisce sottopelle a causa dell’attrito con il mondo”. E già, “La Ferocia” mondo che del mondo valuta persino l’attrito.
Per poi guardare anche alla sfera dell’oltremondano, come suggeriscono le pagine 34 e 35: “Era uno splendido pomeriggio fuori stagione dei primi anni Novanta, uno di quegli avanzi che l’estate ripone in uno spazio oltremondano per evitare alla temperatura di salire troppo”. Ma cosa significa? Non si fa in tempo a chiederselo che a pagina 38 già in italiano si deve ricorrere al traduttore di Google: “Ecco il suo problema: la concrezione di pazzi con cui la sorte voleva distoglierlo dall’unica attività che lo avrebbe reso libero, il tasto su cui battere fino a quando la particola di follia che in linea retta alimentava anche lui fosse diventata un nudo anello che non trasmette niente, lo studio, lo studio fanatico della medicina a cui si dedicava senza perdere un attimo”.
Anche a chi non ne avesse intenzione, tocca fare esegesi. Venendo all’amore, da ricordare la pagina 81: “Clara impallidì. Poi si accigliò. La forzatura consentì a Pascucci di vederla – l’ombra di una ferita – come avrebbe iniziato a mostrarsi di sua spontanea volontà se solo lui avesse avuto più pazienza. L’estorsione di un anticipo già ridotta a saldo”.