No al “Conte-lino show”, in diretta dalla “Versailles italiana” di villa Pamphili, sì al confronto serrato in Parlamento: lì dove si svolge, nonostante il sudamericano lockdown che tanto farebbe ancora comodo (solo) ai giallo-fucsia, la funzione democratica. Il destra-centro unito ha risposto picche al bacio della morte del premier che sperava di poter aggregare Lega, FdI e Forza Italia come comparse per l’evento più mondano e anti-sociale che si potesse immaginare in tempi di “Pil a meno 14%”: la presentazione, di fatto, del proprio proto-partito a spese dei contribuenti.
Con la scusa di occupare l’agenda politica e mediatica per una settimana di fila – perché a questo e nient’altro servono gli “Stati generali dell’economia” -, l’ex avvocato del popolo (ieri fischiatissimo alla sua prima apparizione sotto Palazzo Chigi: e sì Giuseppe, fuori dai social la vita è diversa…) sta tentando una renzianissima “mossa del cavallo” nei confronti della tenaglia Pd-5Stelle che, da parte loro, non vedono l’ora di una «svolta» partitocratica che non contempla più il premier buono per tutte le stagioni.
A questo teatrino da ancien régime messo in campo da Conte e Casalino (con un cotè composto da archistar, membri del Fmi, della Bce e burocrati Ue: tutti di rigorosa osservanza anti-italiana), saggiamente, l’opposizione di destra-centro ha scelto di non partecipare. «(«Io vado sempre in Parlamento», la sua tesi. «Sì ma solo dopo le dirette Facebook e i Dpcm», la replica di Meloni), senza riuscire ad ottenere oggi alcun titolo “a sua difesa” nel cosiddetto giornale unico.
Una scelta che premierà l’opposizione nel rapporto con i ceti produttivi (al di là della forma, da Confindustria a Coldiretti sono tutti sul piede di guerra nei confronti dell’esecutivo) ma anche e soprattutto con la vena viva della Nazione, se è vero come è vero che, una volta calata l’adrenalina sui fantomatici bazooka europei, la realtà si tradurrà presto nelle tasche degli italiani.