No, il liberalismo non è per forza multiculturale

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Multiculturalismo

Il multiculturalismo – la convivenza di diverse etnie culturali nello stesso spazio politico – è compatibile con la concezione societaria dello Stato come Piazza del mercato ma non con una concezione comunitaria dello Stato come Sodalizio.

Per la prima, lo Stato deve limitarsi a vigilare sul traffico sociale, proteggendo i diritti individuali e garantendo il rispetto dei contratti. Per la seconda, lo Stato ha il compito di bilanciare i valori sociali in conflitto al fine di preservare il patrimonio storico artistico, letterario e linguistico ereditato dal passato. Se il modello è il mercato perché si dovrebbero imporre i simboli culturali di una vecchia nazione ai nuovi cittadini, provenienti dalle civiltà più diverse e lontane? Voltaire, nelle Lettere filosofiche, vedeva riuniti nella Borsa di Londra, “i deputati di tutte le nazioni per l’utilità degli uomini. Lì l’ebreo, il maomettano e il cristiano si comportano tra loro come se fossero della stessa religione; lì il presbiteriano si fida dell’anabattista, e l’anglicano riceve la promessa del quacchero”.

È il mondo sognato dagli scienziati politici neoliberali che scrivono sui grandi organi di stampa: cosa si vuole di più della libertà di mercato e del rispetto dei diritti individuali? Le appartenenze etnoculturali sono turbative esterne che generano conflitti inutili e che potrebbero appianarsi con compromessi ragionevoli (i musulmani sono turbati dal crocifisso in classe? E allora togliamolo! Avremo un problema di meno e saremo più simpatici ai paesi arabi con cui abbiamo rapporti di affari).

Credo che, ai livelli alti della piramide sociale e della cultura ufficiale, del liberalismo comunitario si sia persa traccia e che sia il liberalismo societario quello oggi vincente. Il problema è che il secondo non è accettato da tutti: ci sono dei barbari (sovranisti, populisti nazionalisti) che “non ci stanno” e votano democraticamente per la reazione. Rinuncerebbero a un buon affare pur di non alterare i paesaggi materiali e spirituali che fanno la loro identità. Dovremo dedurne che la democrazia ha fatto il suo tempo e pensare a un nuovo “assolutismo illuminato”, che affidi il potere non alle aristocrazie del sangue ma alle aristocrazie della penna?

Dino Cofrancesco, 8 dicembre 2024

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