Politica

Anche Draghi ha i suoi scheletri nell’armadio

Politica

La comunità economica, nonostante gli appelli, non è poi così granitica nel ritenere la perdita del governo Draghi come una sciagura. È vero però che l’unanimità di coloro che abbiamo sentito in queste ore, considerano l’ex governatore della Banca Centrale lo scudo più forte, che un paese debole finanziariamente come il nostro, potesse avere in giro per le cancellerie del mondo e per i mercati che contano. In pochi però si sono fatti due calcoli su cosa è successo in questa legislatura. Proprio sul fronte di quel debito pubblico che tanto preoccupa e per il quale la presenza di Draghi appare rassicurante.

Il primo governo Conte, quello gialloverde, ha prodotto un incremento del debito pubblico di 71 miliardi, il secondo governo Conte (che è durato sessanti giorni in più) ed ha affrontato la pandemia, ha aumentato il nostro mostruoso debito pubblico di 142 miliardi. Cosa ha fatto l’esecutivo dei migliori guidato da Mario Draghi (516 giorni di pieni poteri), ma composto praticamente dai partiti di tutto l’arco costituzionale? Semplice, Watson: ha dovuto accontentare un po’ tutti. Il debito pubblico targato Draghi è balzato di 150 miliardi di euro. E non è finita. Infatti i dati si riferiscono alle statistiche di Banca d’Italia che partono da febbraio 2021, quando il governo ha giurato, e terminano a maggio di quest’anno. Alla fine della corsa, a settembre, il conto dovrebbe sfiorare 180 miliardi di euro.

La morale è che il super Draghi ha speso come e più degli altri. Certo anche per l’effetto trascinamento delle leggi di spesa votate dai precedenti governi, ma che non ha avuto coraggio o forza di cancellare, come è ovvio. Essendo il suo un governo di unità nazionale. Ecco perché questo genere di coalizioni non fanno i conti con il futuro: sono esecutivi che nonostante le asprezze dei discorsi in parlamento, cercano di accontentare tutti. Inoltre il governo Draghi ha incrementato di 150 miliardi di debito pubblico senza scuse fiscali. Nei primi tre mesi di quest’anno, il Tesoro ha incassato la bellezza di 13 miliardi di imposte (tra dirette e indirette) in più rispetto all’anno scorso. Insomma più debito e più tasse. Alla faccia dei liberali.

Un nostro interlocutore, un imprenditore di quelli importanti, ha forse espresso molto meglio di altri il sentimento della comunità che conta in Italia. «Sono convinto che l’Italia sia un paese con numerosi strutturali problemi insoluti. Debito pubblico, crescita più bassa d’Europa da oltre 20 anni, infrastrutture fatiscenti, investimenti in innovazione e tecnologia ridicoli, servizi (scuola, sanità, trasporti) non adeguati al livello di contributi fiscali richiesti ai cittadini, sistema delle imprese nano, mercato dei capitali modesti, mezzogiorno d’Italia con enormi problemi di occupazione giovanile. Avremmo bisogno di un governo che almeno per 5 anni, seguendo un progetto industriale ed economico, ponga in agenda la risoluzione di questi problemi. O almeno seriamente la avvii. Invece negli ultimi 4 anni abbiamo avuto tre governi con tre diverse coalizioni e senza la possibilità di programmare alcunché. Arriviamo a Draghi. Quale la prima qualità indiscussa e il vero valore? L’immagine, la credibilità, la serietà ed il rigore. Veramente tanto.

Cosa ha fatto il suo governo in questi 18 mesi? Di sostanziale al di là del recupero di immagine? Pochissimo. La pandemia si è avviata a soluzione come in tutto il mondo grazie ai vaccini. Il Pnrr (ottenuto in precedenza) non è stato di fatto avviato in nessun campo ed entro il 2026 è probabile che non si concluda nessun progetto. Delle riforme si parla, ma vorrei sapere se c’è un cittadino che può dire che è cambiato qualcosa.

Ed allora? L’immagine, lo spread, il sorriso dei leader internazionali! Ma può bastare? Se è vera la premessa con l’elenco dei giganteschi problemi del Paese? A mio avviso no. E quindi il sacrificare qualche mese di governo Draghi con un anticipo delle elezioni e l’insediamento di un governo auspicabilmente di legislatura mi sembra che sia una scelta non folle. Né si può affermare che il prossimo premier non sarà all’altezza, che il governo sarà modesto e così via. Perché allora converrebbe cambiare la costituzione e delegare ad alcuni opinion maker o lobbies internazionali di decidere per noi. Ed eliminare il voto».

Difficile dissentire.

Nicola Porro, Il Giornale 23 luglio 2022