Economia

La risposta a Becchi e Zibordi

No, la ricchezza non si stampa insieme alla moneta

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Leggendo su queste pagine un recente commento di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi, abbiamo appreso che da molto tempo le banche centrali hanno realizzato l’antica ambizione, perseguita invano sino alla sua morte, del famoso Paracelso. Si tratta della mitica pietra filosofale, con cui tramutare il piombo in oro. Ma dal momento che siamo nell’era dell’informatica, la straordinaria sostanza immaginata dall’alchimista svizzero serve a trasformare alcuni semplici comandi digitali in enormi quantità di ricchezza da gettare dagli elicotteri, così come invocano da decenni gli assertori della Modern Monetary Theory. Solo che ogni qualvolta si usano con prodigalità simili politiche espansive, arrivano – silenziosi e infallibili come i sommergibili di Mussolini – i duri e destabilizzanti contraccolpi dell’inflazione.

Tant’è che persino quando regnavano indiscussi oro e argento, l’arrivo dalle Americhe, appena scoperte, di ingenti quantità di metalli preziosi, nella prima metà del XVI secolo, determinò in Europa un lungo e incontrollato aumento dei prezzi, con gravi ripercussioni sociali ed economiche. D’altro canto, a prescindere dal sistema aureo, che fu definitivamente accantonato il 15 agosto del 1971, occorre sempre ricordare che ogni moneta si basa sulla fiducia che vi si ripone. Fiducia che a sua volta poggia sulle tre funzioni essenziali che essa svolge: mezzo di scambio, con un valore in cui tutti confidano; unità di conto, in quanto permette di attribuire un prezzo a beni e servizi; riserva di valore.

Ebbene, la citata inflazione – che attualmente rappresenta l’inevitabile conseguenza non di opache scelte adottate in splendida solitudine dalle banche centrali, bensì di un chiaro input politico proveniente dai vari governi onde tamponare le falle finanziarie apertesi con le folli chiusure imposte durante la pandemia infinita – ha eroso significativamente il potere d’acquisto dei cittadini, depauperando altrettanto duramente i loro risparmi.

Tuttavia, è proprio la formale indipendenza delle stesse banche centrali che consente loro, quando come adesso il tasso d’inflazione supera abbondantemente il livello di guardia, di prendere le necessarie e dolorose misure per evitare le catastrofiche conseguenze di un aumento incontrollato dei prezzi.

Infine, se fosse così facile far precedere l’aumento della ricchezza prodotta da vere e proprie inondazioni di moneta, perché nessuno al mondo – tranne alcuni Paesi finiti in bancarotta – segue in modo deciso questa semplicissima strategia? Probabilmente ciò che è accaduto in anni recenti in Argentina e Venezuela, e in passato in Germania con la Repubblica di Weimar, allorché in pochi anni il marco si svalutò un bilionesimo di volte, rappresenta un monito tangibile per chiunque amministri un Paese, il quale una volta entrato nella stanza dei bottoni deve lasciar fuori i sogni utopistici e confrontarsi con la dura realtà.

Che ci piaccia o no, la ricchezza non si stampa ma si basa sulla produzione di beni e servizi che qualcuno è disposto liberamente ad acquistare.

Claudio Romiti, 31 agosto 2023