“Importante tassare gli extraprofitti sui margini ingiusti delle banche”, questo il titolo di un articolo dell’Ansa in cui si riporta un commento della premier Meloni, pronunciato nel collegamento social “Gli appunti di Giorgia”. Questi i passaggi salienti del suo intervento: “Nell’ultimo Consiglio dei ministri abbiamo approvato diverse misure importanti. La più importante è quella che riguarda la tassazione dei margini ingiusti delle banche”.
“Noi – sottolinea la presidente del Consiglio – stiamo vivendo una fase economica e finanziaria complicata anche a causa dell’inflazione che si registra in tutta Europa a cui la Bce ha risposto con un intervento del quale possiamo anche discutere. In questa situazione difficile – aggiunge – è fondamentale che il sistema bancario si comporti nel modo il più possibile corretto. Stiamo registrando utili record e abbiamo deciso di intervenire introducendo una tassazione del 40% sulla differenza ingiusta del margine di interesse. Una tassazione che è non una tassa su un margine legittimo, ma una tassa su un margine, appunto, ingiusto.”
Ora, confesso che ci ho messo un po’ a riprendermi da questa impressionante bastonata dirigista, con cui si ribadisce l’agghiacciante concetto implicitamente sostenuto con la misura in oggetto. Dopodiché mi sono posto e pongo ai nostri eventuali interlocutori la seguente domanda: ma chi stabilisce dove sia il confine tra margine giusto e margine ingiusto, tra remunerazione legittima e remunerazione illegittima?
D’altro canto il termine utilizzato per giustificare una simile aberrazione del pensiero liberale, “extraprofitti”, contiene in sé la radice nefasta di un principio molto pericoloso per una economia di mercato. Ossia l’idea che lo Stato regolatore, il quale dovrebbe muoversi entro limiti ben precisi, arrivi a stabilire per qualunque categoria economica quale sia il livello massimo dei profitti medesimi. Ed ogni qual volta che tale livello, arbitrariamente fissato, viene superato, come accaduto in questa sciagurata vicenda, la giustizia sociale suprema, incarnata dall’esecutivo di turno, interviene repentinamente con un congruo prelievo fiscale, anche retroattivo.
Al di là dell’impressionante disincentivo a produrre che una simile visione contiene, con essa si mette in discussione il fondamento stesso delle economie di mercato, nelle quali il valore dei beni e dei servizi nella maggior parte dei casi non lo stabilisce un ente burocratico, bensì le dinamiche legate alla libera contrattazione. E qui non si tratta solo una frase incautamente sfuggita alla premier, purtroppo sembra esserci ben altro, visto che la inquietante ventata dirigista è sostenuta da altri personaggi del suo governo, come il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, che ha abolito con un provvedimento l’algoritmo con cui alcune compagnie aeree fissavano le tariffe dei voli, che vuole realizzare un anacronistico calmiere dei beni di prima necessità e che sostiene di aver messo nel mirino altri presunti extraprofitti: quelli dei cattivoni delle compagnie petrolifere.
Occorre inoltre aggiungere che questa sinistra convergenza tra parole e fatti non fa che incentivare quello strisciante collettivismo, la cui tendenza è da tempo in atto in tutto il mondo avanzato, che in Italia ha raggiunto livelli francamente preoccupanti. Collettivismo strisciante che trova un formidabile alimento nelle nuove parole d’ordine di questa caldissima estate: extraprofitti, margini ingiusti, guadagni illegittimi, limite ai prezzi dei beni primari, salario minimo e quant’altro. A questo punto non resta che definire kulaki i membri di quelle categorie che non rispettano la nuova politica degli utili politicamente corretti.
Claudio Romiti, 9 agosto 2023