In una lettera pubblicata oggi sul Corriere della Sera, Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, scrive che “l’assassino della sorella non è né un mostro né un’eccezione, ma figlio del patriarcato e quindi della cultura dello stupro”. Non possiamo far passare questa idea: la cultura dello stupro non c’entra nulla col patriarcato e la cultura del patriarcato non c’entra nulla con questo omicidio.
Elena aggiunge poi che “ogni uomo viene privilegiato da questa cultura” e che il femminicidio “è un omicidio di Stato”. Siamo tutti colpevoli per la morte di Giulia? Io non mi sento colpevole: lo posso essere di tante cose, ma non del patriarcato o della morte di Giulia. Ovviamente, Elena merita tutto il nostro rispetto semplicemente perché sta vivendo un lutto tremendo, ma non si può dire che il femminicidio è un omicidio di Stato.
La ciliegina sulla torta è poi la Ferragni secondo cui “per noi non c’è un posto sicuro”. Allora vale tutto. Mi chiedo: esiste un limite al marketing? La sorella della ragazza che è stata appena ammazzata va rispettata e compresa per il dolore che sta vivendo: non posso nemmeno immaginare cosa stia provando e quello che passi per la sua testa. La Ferragni, invece, che a freddo dice che lo Stato ha fallito perché non c’è “un posto sicuro in cui stare”, mi fa venire i brividi. Da liberale non posso non essere fan del marketing e della Ferragni imprenditrice che gira in Ferrari o Lamborghini e compra una casa dietro l’altra, ma se questa sua vita straordinaria è figlia di frasi come questa, forse mi devo ricredere.
Nicola Porro, dalla Zuppa di Porro del 20 novembre 2023