Cronaca

No, non sento la “colpa collettiva” per le violenze a Francesca Ghio

La consigliera comunale di Genova torna sulla telefonata con la premier Meloni. E collettivizza sia il dolore che la colpa

Piccole Ilarie Salis crescono. Purtroppo. Sono giorni frenetici, giorni di fregola nel comunismo influencer di Alleanza Verde Sinistra, questa fucina di talenti che X Factor scansati proprio: attualmente spinge molto certa Francesca Ghio, improvvidamente lanciata dalla nostra Giorgia che le telefona per solidarietà: l’altra subito lo fa sapere a tutti, come Bill Gates quando fa beneficenza, e già che c’è dice che la colpa delle molestie domestiche ricevute venti anni fa è di Meloni. Una Mozart dell’abuso, proprio, la nostra premier.

Francesca non specifica, copre la privacy chissà di chi e chissà perché, ma Meloni ce la deve proprio infilare, per dritto o per storto, la propaganda non deve mai scemare; siccome non ha sortito abbastanza scalpore, rilancia e dice che ha collettivizzato il trauma, il dolore. Noi, uomini del secolo scorso, eravamo fermi ai mezzi di produzione, alla cogestione delle fabbriche, ma questo è comunismo quattro punto zero. In tutti i sensi. Dove vada a parare questa Ghio è chiarissimo, va in scia alla occupatrice seriale, non le basta la seggiolina di consigliera comunala a Genova per noi, ma soprattutto per lei: she too. But it’s a long way to Bruxelles, mica te la cavi con una brutta storia subita, devi invertire i rapporti di produzione, oggi funziona di più se sei artefice, non vittima e minimo devi: fregare case ai poveri, lasciare 90mila euro da pagare, manifestare in Ungheria, guadagnarti un processo, 4 condanne, decine di precedenti di polizia, andare a invocare la lotta più o meno armata al centro sociale Askatasuna che al sabato pomeriggio, passerotto non andare via, di solito devasta Torino, esaltare i magrebini che si ammazzano tra di loro fuggendo dalla polizia. Troppi spaghetti addà magnà, Francesca nostra.

Le frasi di Francesca Ghio
 I mostri sono figli sani di un sistema malato, quello del patriarcato

Dalla quale peraltro gradiremmo moderatamente alcune delucidazioni. La aspirante europarlamentare resta nel vago su tutto, “un uomo di cui mi fidavo, un bravo ragazzo, uno dei vostri”. Dei vostri chi? La collettivizzazione del dolore, e scansati Gadda, vale per tutti tutti, ossia la legge del patriarcato è uguale per tutti, oppure per qualcuno più uguale? Ovvero: il dolore collettivizzato, spalmato socialmente della compagna Ghio si traduce in una assunzione di responsabilità globale e indiscriminata, cioè siamo davvero veramente tutti colpevoli, tutti responsabili, tutti complici (di cosa esattamente, vorremmo saperlo), oppure si salvano i non bianchi, i non cristiani, i non fasci? Così, giusto per orientarsi.

Le parole di Francesca Ghio
L’ho fatto perché ho voluto rimettere nelle mani della collettività il mio dolore, consapevole nel percorso che non è più il tempo della colpa del singolo. Non di chi ammazza, non di chi muore, bensì di tutte e tutti noi, responsabili di essere arrivati a questo punto della storia.

Non è Francesca: così fan tutti, anzi tutte, anzi tutt*. Noi alla immanente Ghio, che, dal pulpito del suo dolore collettivizzato, pretende la educazione psico sessuale nelle scuole inferiori, vorremmo dare, se non si offende, qualche consiglio fraterno, oh pardon, sorellesco: non esagerare, che già il trend è inflazionato, non abusarne, che poi magari finisce che non ti votano più. Ma, ripensandoci subito, se la prospettiva è questa, ritiriamo subito il consiglio: dai, dai, daje giù dura, esagera pure, spacca i maroni, accusaci tutti. Peraltro, per par condicio, gradiremmo parlasse chiaro anche la nostra premier; perché, per sillogismo aristotelico, se lei è colpevole delle molestie subite da Ghio, però i colpevoli sono tutti i maschi bianchi tossici patriarcali fasci, allora ci sta fregando pure lei, è l’inverso della papessa Giovanna che si seppe che era essa una volta rimasta incinta. Insomma è “un” premier, non “una” premier. Ora, per la carità, Giorgia di transizioni in questi due anni ne ha fatte fin troppe, dalla Baronessa Ursula in su, ma di questa, cruciale, fatale, francamente non ce n’eravamo accorti; non sembra, tutt’altro. Però, boh, va’ un po’ a sapè.

Ghio ha “messo il dolore nelle mani della collettività”, cioè dobbiamo tutti farcene carico, cioè siamo tutti stupratori, come dice Elena Cecchettin, di professione sorella. Anche qui, da decrepiti laureati in legge di un altro secolo, a noi pareva di ricordare che la responsabilità penale è personale. Si vede che nel frattempo hanno updatato il codice e nessuno ci ha detto niente. Ora, francamente, se una è stata insidiata, a qualunque titolo (Ghio non ci pare dica mai “stuprata”, il che è incoraggiante), a maggior ragione da ragazzina, questa è roba vergognosa. Solo che affiora sempre prepotente la sensazione che qualcuno ci marci con la solita storia del buttare tutto in vacca o, se la vogliamo mettere sul filosofico, nella notte hegeliana in cui “tutte le vacche sono nere”. Le vacche siamo noi, noi maschi, però bianchi. Giudichi chi legge, ma la pratica di trasformare il proprio vissuto, come si dice, e traumatico vissuto in un tramplino propagandistico, diventa ogni giorno più insopportabile. Io, tu, noi, tutti colpevoli del dolore collettivizzato della consigliera Francesca Ghio da Genova, violentata a suo tempo da un misterioso “uno di voi”? Ma perché poi?

Max Del Papa, 4 dicembre 2024

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