Gentili professori Becchi e Zibordi,
vorrei ringraziarVi innanzitutto per l’interesse dimostrato verso quanto da me scritto su questo sito. Poiché Vi vedo accesi di notevole zelo su questa questione proverò, non essendo io uno storico per professione, a rispondere alle Vostre osservazioni in base alla mia (non scarsissima) conoscenza della materia. Premesso che, come ha ben scritto Claudio Vercelli, lui sì autentico storico, in apertura di un saggio proprio su questo tema, la storia non parla mai da sé ma è fatta da voci diverse che tentano di consegnarle un senso. Dunque non una sola e univoca visione dei fatti è sempre possibile, tuttavia ci proviamo.
Cominciamo dai dubbi da Voi sollevati circa la popolazione del territorio palestinese all’alba dell’immigrazione ebraica. Come Voi noterete leggendo attentamente il mio scritto, gentili professori, non ho mai affermato che, al momento dell’arrivo degli ebrei a metà ‘800, il territorio noto come Palestina fosse del tutto disabitato. Quando scrivo che “quasi nessuno abitava quelle terre” non intendevo certo equipararle ad una luna di Saturno. Semplicemente il mio intento era quello di sottolineare quanto quei territori fossero assai scarsamente popolati. Secondo alcune statistiche basate sui primi censimenti effettuati, nel 1850 nella terra chiamata Palestina vivevano circa 350mila persone in un’area estesa più o meno 28mila km². Ai tempi della prima colonizzazione ebraica (la cosiddetta “Prima Aliyah”) nel 1881 causata dai continui pogrom a cui gli ebrei erano sottoposti negli stati dell’est Europa, nello stesso territorio erano presenti pressappoco 500mila persone.
Basti pensare, come paragone, che nella sola città di Napoli, nello stesso anno, vivevano 500mila persone. Penso che tali dati siano sufficienti a motivare la dicitura “terra scarsamente popolata”. Benché sia certamente vero che la maggior parte degli abitanti fossero musulmani, è altrettanto vero che una larga parte di questi erano nomadi. Sempre secondo alcune statistiche, dei 700mila musulmani censiti nel 1931, solo 176mila erano considerati stabili e residenti in aree urbane. Gli altri erano, appunto, nomadi o beduini. Dunque, alla luce di questi dati, mi sembra abbastanza chiaro che non sia possibile affermare che, al tempo dell’immigrazione ebraica in terra di Palestina, vi esistesse qui una popolazione numerosa e stabilmente residente, poi brutalmente scalzata.
Veniamo all’annosa questione degli acquisti della terra. Il fatto che gli ebrei abbiano acquistato sempre più larghe porzioni di terra da funzionari turchi, piccoli proprietari locali o padroni regionali è un fatto difficilmente contestabile. Esistono foto che ritraggono ebrei mentre acquistano porzioni di terreno dai proprietari arabi locali, con tanto di attestato. Quello stesso “rogito” a cui Voi, gentili professori, alludete sarcasticamente. Famoso è l’episodio dell’acquisto, tra il 1921 e il 1925, della valle di Jezreel, terra nota per la sua fertilità, venduta agli ebrei dalla famiglia libanese Sursock. Certamente a ciò conseguì lo sfratto dei lavoratori arabi che erano impiegati in quell’ampia area. Tuttavia, credo che questo possa considerarsi una brutale regola del mercato da tempo immemore: chi compra e diventa proprietario decide. Si vada semmai a reclamare in Libano.
Non va inoltre dimenticato, gentili professori, che al tempo della lettera Balfour (1917), ossia l’assenso britannico alla creazione di uno stato ebraico in Palestina, gli ebrei subivano persecuzioni in molti stati europei, nessuno dei quali era intenzionato ad accoglierne anche solo una piccola parte e che gli stessi inglesi si dicevano favorevoli alla creazione di due stati separati in territorio palestinese per non arrecare danno alle popolazioni non-ebraiche. Soluzione che gli arabi hanno sempre, pervicacemente, rifiutato. Furono anzi loro ad attaccare per primi Israele nel 1948, colpendo degli innocenti secondo il loro vile costume, considerando la risoluzione delle Nazioni Unite come un’offesa lavabile solo nel sangue.
Le rivolte degli arabi sono state indubbiamente una conseguenza della massiccia immigrazione di ebrei in territori prima dominati del tutto dagli ottomani, ma tale immigrazione, come già detto, portò ricchezza laddove prima c’erano solo polvere e sassi dando l’occasione a molti arabi di trovare possibilità di lavoro e residenza. Il diritto degli attuali arabi di avere un territorio in cui esistere e prosperare non può ottenersi negando la storia e reclamando dei diritti sull’intera superficie di quella terra. Diritti che, di fatto, non si hanno mai avuti. Anche dopo la Seconda guerra mondiale nessun paese europeo volle farsi carico delle centinaia di migliaia di sopravvissuti ai campi di sterminio, gente che aveva ancora il numero tatuato sul braccio e portava addosso i segni di quell’indicibile orrore. Il ritorno alla loro terra di origine sembrò dunque l’unica soluzione, propagandata anche dal sionismo.
Sarebbe opportuno, gentili professori, interrogarsi sul concetto di “Palestina”. Tale dicitura ha sempre indicato un lembo di terra piuttosto mal definito e senza confini specifici, come si può leggere nella descrizione che ne fa l’Encyclopedia Britannica. Non è mai esistito uno stato autonomo chiamato Palestina così come è difficile identificare i palestinesi quale popolo autentico e non come una mescolanza di giordani, siriani, libanesi. Ad ovest del fiume Giordano (l’attuale Cisgiordania) e ad est vivono, ed hanno sempre vissuto, le stesse genti. Ossia i giordani. Per quanto riguarda la presunta tranquillità del luogo come da Voi scritto, la benevolenza dei turchi selgiuchidi verso cristiani, ebrei e pellegrini venne talmente apprezzata nella vecchia Europa che a manifestazione di gratitudine furono indette le crociate.
Inoltre, se proprio si vuole parlare di terrorismo, i pacifici palestinesi non sono davvero secondi a nessuno. In effetti, è a causa delle mirabili azioni di questo popolo tanto nobile che abbiamo iniziato ad aver paura di prendere gli aerei temendo i dirottamenti. Citerò, come esempio, quello che nel 1972 George Habash, leader del Fronte per la liberazione del popolo palestinese, riferiva ad Oriana Fallaci in merito alla sua “idea” di come si debba condurre una guerra: “Noi riteniamo che uccidere un ebreo (non un israeliano, si badi, un ebreo!) lontano da un campo di battaglia abbia più effetto che uccidere cento ebrei in battaglia, perché provoca maggiore attenzione“.
Mettere bombe sugli autobus, sugli aerei, nei supermercati, uccidere donne e bambini innocenti (come in questi giorni si rimprovera colpevolmente ad Israele) è il modo con cui questa coraggiosa gente conduceva, e conduce ancora, la sua battaglia di giustizia. Il terrorismo non si è generato a causa dell’arrivo degli ebrei, come mi sembra di interpretare dalle Vostre parole, gentili professori. È un’arma subdola che da sempre gli arabi usano in virtù della loro scarsissima considerazione della vita umana.
In conclusione, Gaza. Che tale città sia divenuta nel tempo una sorta di prigione a cielo aperto può essere vero. Che i palestinesi ammassati sulla Striscia abbiano diritto ad un’esistenza migliore di quella così disgraziata che oggi tutti vediamo è altrettanto vero. Nel corso della lunga storia di questa faida diverse soluzioni sono state prospettate per dare una terra a queste genti, quasi tutte con il benestare di Israele. Ricordo che durante l’ultimo vertice di Camp David fu data la possibilità ad Arafat di avere, oltre alla Cisgiordania, la parte est di Gerusalemme come capitale di uno stato interamente palestinese. Mai una volta le nazioni arabe, con l’eccezione dell’Egitto di Nasser, hanno espresso parere positivo alle soluzioni pervenute attraverso i negoziati.
Il motivo è presto detto. A una buona fetta del mondo islamico non interessa dare una terra ai palestinesi, altrimenti avrebbero accolto gli innumerevoli profughi delle varie guerre in Giordania o in Libano. Benché parlassero la stessa lingua e professassero la stessa religione li hanno sempre respinti. Perché? Perché essi non sono che armi umane, carne da macello da utilizzare nella loro guerra con Israele. L’obiettivo dell’islam politico fondamentalista e dei vari movimenti palestinesi (Hamas, Al-Fatah) è la distruzione di Israele. La sua stessa negazione.
Ecco perché rifiutano ogni negoziato. Ecco perché non hanno mai voluto accogliere i loro fratelli palestinesi. Ecco perché, fin quando Israele sarà considerato una nemesi da spazzar via dalle nazioni arabe e dai loro avamposti palestinesi, non si avrà mai la pace. Non è alle responsabilità degli ebrei che dovremmo guardare per comprendere il disastro umanitario a cui i palestinesi stanno andando incontro, ma a quelle dei paesi arabi confinanti che si dichiarano loro fratelli e che invece li usano come bieco grimaldello per distruggere il loro nemico.
Con stima,
Francesco Teodori