di Toni Capuozzo
Ci sarà pure qualcuno che non si rassegna al fatto che la brava giornalista Marina Ovsyannikova, che ha mostrato un cartello contro la guerra in diretta al telegiornale, sia stata condannata solo a una multa e non inviata in un gulag. C’è ovviamente da non perderla di vista, ma il suo gesto restituisce intanto l’onore al popolo russo. Che può essere sotto il dominio di un autocrate, che ai loro occhi ha il merito di aver restituito orgoglio alla nazione russa, che tanti volevano oltre che vinta, stravinta e umiliata. Ma resta un grande popolo, per storia, cultura, carattere.
Fa male vedere tanti scomodare i paragoni con Hitler – sì, lo so, sono dedicati a Putin il pazzo, il malato, il gonfio distante…- davanti a un popolo che ha sconfitto il nazismo pagando il prezzo di 25 milioni di morti. Dovremmo stare zitti, noi, sul tema. E forse, per quel che riguarda il passato, dovrebbero astenersi da quel paragone gli ucraini, per la cui sorte oggi trepido, ma che a Stepan Bandera, volenteroso collaboratore del nazismo, hanno dedicato un francobollo. Lo chiamino nuovo Stalin, se vogliono. E del resto il controllo russo sui propri stessi cittadini è capace di ridicolizzarsi da solo: basta vedere come hanno dato notizia della sentenza, sbianchettando il cartello, lo vedete in foto, così che il senza parole diventa ancora più efficace della scritta originale.
Ma la notizia del giorno è un’altra: quell’ammissione a mezza bocca del presidente Zelensky. “Sì, lo so, non faremo mai parte della Nato”. Suona un po’ come un innamorato respinto, ma perché non farla venti giorni fa? Sì, mi dite che Putin avrebbe invaso lo stesso, perché ha in odio la democrazia ai suoi confini, perché il suo sguardo punta alla Polonia e ai paesi baltici. Intanto sarebbe stato una piccola molotov nei cingoli dei carri armati russi, quell’impegno rassegnato di neutralità, si trovassero altri alibi. Già, la parola neutralità, che improvvisamente è diventata vigliaccheria, e untuosa equidistanza, e comodo equilibrismo tra la vittima e l’aggressore. Ma è un’offesa alla libertà dell’Ucraina, alla sua democrazia, al futuro dei suoi bambini essere neutrali? È una libertà vigilata non ospitare esercitazioni Nato come quelle dello scorso anno, e basi come quella bombardata l’altro giorno, ai confini della Nato, come sottolineano preoccupati i titoli dei giornali? Non mi sembra, e comunque meglio che lo stillicidio di vite umane, e il massacro dell’assalto finale, pur di stare nella Nato. Vedo che a molti prudono le mani, e ti danno facile del disertore, anche se siamo tutti in infermeria, fureria, permessino e licenza ordinaria. Vedo che perfino l’idea della no fly zone incomincia a essere descritta come un tabù, e davanti a una situazione più intollerabile anche i tabù sono meno solidi. L’Estonia è il primo paese a chiederla. Non cambierebbe moltissimo, sul teatro di battaglia: i missili sulla caserma in cui sono morti anche tre ex parà britannici – lo leggo sui giornali inglesi – sono stati lanciati da aerei che volavano su territorio russo. In più, una no fly zone equa impedirebbe di alzarsi in volo anche ai droni ucraini, che hanno seminato distruzioni sulle colonne russe. Cambierebbe che bisognerebbe ingaggiare duelli con gli aerei russi, e il sogno di Zelensky sarebbe realtà: tutti in guerra.
Ma il nemico vero, nei prossimi giorni non sono i cieli. È l’artiglieria. La macchina militare russa è tra le poche a contare su obici imponenti, fatti apposta per l’assedio alle città, forse è la memoria storica di Stalingrado, non lo so. Gli assaggi dell’orrore della guerra di Putin sono sotto i nostri occhi: ospedali assediati, anziani che lasciano il posto ai giovani nella fuga, bambini che subiscono amputazioni. La resistenza rallenta l’avanzata, ma non diminuisce l’orrore, lo rinvia, lo prolunga, lo trasforma in costo della vittoria. Le città, e Kiev in particolare, saranno la foresta di cemento in cui avanzare e in cui difendersi. Costi altissimi, per i combattenti e per i civili. Per contenerli chi attacca deve spianare, prima. Chi si difende potrà contare, sembra, su mitragliatrici Beretta MG 42/59, inviate da noi. Credo saremmo stati più decisivi giocando un altro ruolo, e lavorando attorno a un’altra parola tabù: la pace, subito.