L’Europa ha deciso che la produzione dell’energia elettrica grazie al nucleare non è da escludere. Anzi, è una delle opzioni per la cosiddetta transizione energetica. Locuzione tanto antipatica quanto il vocabolo «resilienza», a cui purtroppo ci dobbiamo abituare, anche se non soccombere. Ma, dicevamo, che la Commissione europea, bontà sua, ha deciso che l’atomo si può usare. D’altronde senza atomo i nostri concittadini tanto verdi a parole, quanto calorosi ad aria condizionata e freddolosi a riscaldamento, sarebbero rimasti al buio negli ultimi venti anni. Uno studio di Nomisma energia di questi giorni ha dimostrato come un quarto della produzione elettrica europea derivi dall’atomo. Il suo presidente, Tabarelli scrive: «Si tratta di energia prodotta da 120 impianti che non producono un solo grammo di CO2». In Slovenia, a 150 chilometri da Trieste, stanno raddoppiando la locale centrale, visti i costi del gas.
Un esperto del settore come Paolo Scaroni, che ha guidato sia Eni sia Enel, ha detto più volte che non si può non pensare all’opzione nucleare. Così come il ministro Cingolani ha dismesso la retorica verde-rossa per la quale l’ambiente si tutela solo con alcune tecnologie. Insomma il tema energetico, come lo fu negli anni Settanta, è tornato al centro dell’agenda economica. E come spesso avviene ritarderà ad entrare in quella politica. È la storia che si ripete. Quella storia che noi italiani ricordiamo bene fatta da inflazione e costo alle stelle delle materie prime. Il rischio di ricaderci è enorme.
Per ora il governo ha tamponato la falla. Anche un bambino piccolo sa che non possiamo continuare a fare decreti e assestamenti di bilancio per trovare risorse che riducano l’impatto degli aumenti in bolletta. I benefici del taglio fiscale recentemente adottati valgono la metà degli aumenti di costo che comunque la famiglia media si troverà nella bolletta elettrica: una vera tassa occulta. E che non scomparirà.