La faccenda non è chiara: ha ringhiato “feccia bianca” o “faccia bianca”? Presumibilmente la prima che ho detto, ma l’informazione paracula quando vuol cavarsela c’infila l’asterisco, “f*ccia bianca”, tra blanco e morisco tu metti l’asterisco, bisognerebbe esser stati là, su quel campo da rugby verde smeraldo, per apprezzare nelle sue 50 sfumature di black l’insulto che il colored ha sbattuto in faccia al pallido. Ma, in fondo, cambia poco e conta poco: siamo al ribaltamento del cliché, che in cronaca desta sempre un umorismo inevitabile, e basterebbe e avanzerebbe a chiuderla con una sana, liberatoria risata. Invece no, perché poi escono i soliti rompicoglioni che percepiscono la missione di educarti anche se non gli hai mai chiesto niente: “Eh no, perché quella è reazione”, un fallo orale di reazione; “Eh no, perché comunque dipende da chi lo ha detto, il nero è minoranza, non può pesare l’insulto come se venisse da un bianco”; “Eh no perché il peso della storia”, bla bla bla.
Allora tocca rispondere.
Se questo è razzismo, questo del rugbista nero: e lo è e non lo è, perché lo puoi vedere come agonismo, afasia bovina tra maschi di 100 chili che si odiano nel rettangolo di un prato: oppure come rigurgito di qualcosa di negativo che ad onta delle tonnellate di retorica, degli oceani di buone intenzioni e di pessime censure, non si riesce ad estirpare. Non si riesce perché fa parte dell’animo umano, di quella mistura di diffidenza, stupidità, e poi magari nobiltà per cui i due che si sputano addosso frasi razzoidi finiscono a bere insieme dopo il match. Lascia perdere, il razzismo vero non è questo.
Ma i coglioni in missione permanente non lasciano tregua: quella è reazione, dicono. No, è aggressione, innocua, sportiva, episodica, ma reazione e finiamola qui. Quella reazione, insistono, provocata dal razzismo bianco, l’unico e il solo, quelo maggioritario. Anche in un Paese come il Sudafrica? In un mondo dove la razza bianca, caucasica è statisticamente in seria minoranza, travolta da miliardi di neri, di mulatti, di gialli e via armocromando? Eh, ma il peso del colonialismo dove lo metti? Qui già c’è un rifugiarsi in clinch e poi stringersi all’angolo, insomma si scantona, si divaga; ma, anche mettendola sul piano storico, il razzismo l’ha inventato il mondo arabo, sui neri, che poi lo hanno reso sistematico e solo in una fase moderna trasferito ai bianchi, già bello e organizzato però. Quanto a dire che il razzismo l’ha inventato l’uomo prima di scindersi nelle sue infinite tinte. Ma chi sa un po’ del mondo musulmano sa quanto non sia secondo a nessuno quanto a intolleranza etnica; per non parlare del mondo africano, dove i bianchi sono liquidati come maiali e però gli sterminii tribali di neri su neri non si sono mai contati e proprio a partire da presupposti etnici, di cute, squisitamente razzisti.
Il razzista più sublime di tutti i tempi fu Muhammad Ali, che per tutta la sua prima carriera fu ferocemente contro i bianchi, fanatizzato da quel movimento nazistoide che erano i Black Muslims, roba che al confronto il Black Lives Matter è una storiella da educande; ma non disdegnava di prendersela coi “negri” che lo sfidavano: “Joe Frazier è un negro, puzza, è demente, è un negro e contemporaneamente uno zio Tom, un pupazzo bianco, ha sangue bianco”, eccetera. George Foreman è “un belga”, uno stragista di africani, “se lui vince con me il mondo nero è finito, se vinco io saremo liberi”. Certo, poi gli scappava da ridere, meno agli zairesi quando arrivava a dire che “si sarebbero mangiati George nel pentolone”, però intanto quelle parole ferivano i “fratelli” quanto i cazzotti. Ali si era fatto largo in un pugilato dominato dalla mafia e la mafia era bianca e razzista sul serio, lo erano, non sempre ma spesso, i pugili bianchi che uno dopo l’altro buttava giù come birilli, lui in un certo senso vendicava gli atleti che lo avevano preceduto, da Jack Johnson a Sonny Liston, pure battuto e umiliato. Ma “voglio svelarti una cosa, amico: i pugili neri fanno più paura ai bianchi che ai neri, il mondo è una camicia nera con addosso qualche ciondolante bottone bianco”. E via così, in una sinfonia infinita. Altro che il faccia o feccia bianca del rugbysta sudafricano.
Cielo che guardi, razzismo che trovi. Ma più spesso non è razzismo, è un riposante cliché sul quale costruire una sana, distensiva risata. Diverso, ma fino a un certo punto, il caso degli atleti islamici, arabi, iraniani, musulmani che rifiutano di battersi con gli ebrei e perfino di stringer loro la mano: quello sì ricorda molto da vicino il razzismo, anche se bisogna essere onesti e capire fino a che punto ci sia convinzione piuttosto che terrore: se un musulmano non ostenta odio verso un ebreo, la prima a patire conseguenze atroci è la sua famiglia, siccome loro sono “sempre provocati” e “la vera dittatura è solo l’Occidente”. Ma non divaghiamo.
Non si è poi saputo se lo slavato inglese Curry “feccia bianca” abbia risposto a tono, speriamo di no, bello sarebbe stato se anche lui si fosse messo a ridere: delle volte, è l’antidoto migliore. Invece pare che il big boy sia ulteriormente impallidito andando a frignare dall’arbitro che saggiamente gli ha consigliato: “fa’ finta di niente, gioca”. Saggio arbitro. Noi, per quello che vale, vorremmo lanciare un piccolo appello affinché il rude Bongi Mbonambi non finisca per passare l’inferno dell’inchiesta disciplinare con annessa sanzione (per non parlare della penalizzazione alla sua Nazionale, campione squalificato, confronto futuro falsato), perché sarebbe davvero grossa, sarebbe sproporzionata: mica siamo quelli di Repubblica, che montano su un caso con l’aria pelosa di chi non fa sconti a nessuno (mentre usano la vicenda per rilanciare il razzismo white).
Eddai, su. Chiamatelo, fategli capire a Bongi che oggi non è più tempo di certe sparate perché immediatamente diventano virali, globali, però teniamo pure conto che lo sport è metafora guerresca e questi sono bestioni un po’ esaltati di 20 anni e 200 libbre. Insomma usate un po’ di senso della realtà. Non è stroncando questi leggiadri manzi che risolvete le guerre. I razzismi veri sono già tanti, sono troppi e ogni giorno chiedono torrenti di sangue, da tutte le parti, da tutte le direzioni. Quello che si può evitare, si eviti, o, come ha detto quel savio arbitro, “lascia perdere, continua a giocare”.
Max Del Papa, 25 ottobre 2023