Sul caso Indi Gregory, la neonata inglese malata a cui il governo ha concesso la cittadinanza per permetterle di essere curata in Italia, nessuno di voi sarà d’accordo con me. Leggere i giornali di oggi mi ha dato ai nervi perché ho visto tutta la destra italiana, inclusi i giornali liberali e conservatori, godere del fatto che ieri il Consiglio dei ministri si è riunito e ha deciso di far diventare italiana una neonata malata terminale inglese affinché possa essere curata al Bambin Gesù di Roma.
Poi però se uno va un po’ a leggere meglio cosa è realmente successo scopre che, in realtà, gli inglesi non sono degli assassini macellai. Questa bambina ha infatti una malattia degenerativa incurabile che le ha causato dei danni mostruosi e, per quanto molti considerino questo un dettaglio ininfluente, dà il senso di quanto la malattia sia andata avanti. Questa ragazza è, ahimè, destinata a morire e dovrà essere assistita dalle macchine per tutta la vita.
Il punto fondamentale è che non è stato un direttore di un ospedale ad aver deciso di togliere le macchine che mantengono in vita la neonata, ma è stata l’Alta Corte di giustizia inglese a dire che, purtroppo, le sue cure non sono altro che un accanimento terapeutico. La giustizia inglese si è messa nei panni della bambina e non nei panni dei genitori. Anche la corte di Strasburgo, a cui i genitori avevano fatto ricorso, ha confermato quanto detto dall’Alta Corte di giustizia.
Il punto fondamentale è che, prendendo in cura questa bambina, stiamo illudendo i suoi genitori facendo credere loro che il Bambin Gesù possa salvarla. Nonostante sia un ospedale straordinario, non fa miracoli.
Contrariamente a quanto molti oggi dicono, l’Italia non ha restituito nessun diritto alla vita a questa bimba. Non ci prendiamo in giro: come si fa a dire che l’Italia ha restituito il diritto alla vita ad una bambina come se gli inglesi lo avessero negato? Nessuno ha negato il diritto alla vita a questa bambina, se non una tremenda malattia che la sta uccidendo e che ha ucciso tanti bambini di cui purtroppo ci siamo occupati.
Nicola Porro, dalla Zuppa di Porro del 7 novembre 2023