«Non siamo pesci», l’appello intollerante di Benigni, Veronesi e soci

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Niente da fare, dopo settant’anni siamo ancora fermi a Uomini e no, il romanzo di Elio Vittorini che escludeva dall’umanità chi non si era opposto al fascismo, quindi quasi tutti gli italiani. Oggi a essere retrocessi allo stato ferino sono tutti coloro che, sull’immigrazione, la pensano (più o meno) come Matteo Salvini.

Molti cittadini sono convinti che il modo migliore di evitare i naufragi nel Mediterraneo sia limitare le partenze dei migranti. Per ottenere il risultato è necessario che i porti siano sigillati. Ai trafficanti deve essere chiaro che in Italia si entra con le carte in regola o se si ha diritto allo status di rifugiato. Per i clandestini non c’è spazio e le navi Ong devono attenersi alle regole. Insomma non dobbiamo incoraggiare i trafficanti di carne umana a spedire gommoni. È giusto soccorrere i barconi in difficoltà ma tutti i Paesi dell’Unione europea dovrebbero fare la loro parte.

L’immigrazione di massa non può gravare solo sull’Italia. Che fine fanno poi i clandestini? Dopo la prima accoglienza, vanno a ingrossare le schiere dei lavoratori a giornata, diventando schiavi a tutti gli effetti. Altrimenti c’è il crimine o un vagabondare senza meta per le città. Questo è il risultato della politica dei porti spalancati. La Libia rinchiude i migranti in prigioni simili a lager. Anche in questo caso, l’Unione europea dovrebbe intervenire con una sola, autorevole voce e organizzare una missione. Non accadrà, perché proprio l’Europa, Francia in testa, ha sprofondato nel delirio il Paese africano.

Sono queste idee vergognose, da condannare? In questi giorni, gira un appello «Non siamo pesci» firmato da attivisti, scrittori e artisti: Luigi Manconi, Roberto Benigni, Sandro Veronesi, Elena Stancanelli e tanti altri. Ognuno ha firmato per un motivo diverso. C’è chi si è donato sinceramente, anche solo con una firma; c’è chi ha colto l’occasione per fare qualche ospitata in tv o per scrivere un pamphlet ben pubblicizzato; c’è chi si è precipitato sui social a spiegare a tutti ciò che interessa a pochi: il motivo per cui ha sottoscritto l’appello. E spesso l’ha fatto con toni che sbattono la porta in faccia ai «non uomini».

Gli scrittori firmatari non sono gli unici interpreti autorizzati della Storia e non hanno il diritto di giudicare l’umanità, dividendola in due. Da una parte chi non vuole essere «complice» della strage. Dall’altra, di conseguenza, i complici morali dei naufragi nel Mediterraneo. Nelle vicende della Sea Watch, i firmatari vedono un generale «deprezzamento del senso e del valore della vita umana». Si suggerisce che i sostenitori di una politica restrittiva deprezzino il valore della vita umana. Perché mai dovrebbe essere così?

Sconcertante l’ultima frase dell’appello: «Non possiamo e non vogliamo essere complici di questa strage». Se il problema è lavarsi la coscienza, schierandosi per il Bene, tornano utili, come risposta, le parole del Maggio francese cantate da Fabrizio De André: «Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti».

Alessandro Gnocchi, Il Giornale 29 gennaio 2019

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