L’occasione di imbastire questa riflessione è data all’autrice dall’incontro con un detenuto di lungo corso di nome Antonio, avvenuto durante un permesso premio di tre giorni che l’ergastolano trascorre nella canonica del cappellano del carcere di sicurezza in cui è recluso. Durante il colloquio, ascoltando la sua storia e i suoi trascorsi delittuosi, gli suggerisce la lettura di un significativo libro-memoriale scritto da un altro detenuto, ripromettendosi di raccontargli al prossimo incontro il mito di Narciso ed Eco, perché solo quando riconoscerà se stesso in entrambi (l’io-narciso crudele e il dolore di Eco che diventa il suo dolore) potrà comprendere la propria carriera criminale e arrivare alla coscienza di sé.
Silvia Cecchi offre con questo scritto un’ottica interpretativa differente per la trattazione dei problemi più delicati della penalità contemporanea, con l’intento di richiamare l’attenzione su temi usciti già da qualche anno al di fuori della ristretta cerchia di studiosi e magistrati, ed entrati nella coscienza di tutti i cittadini. «Occorre allora – scrive – almeno un carcere diverso, che preveda l’esperienza di questi momenti fondamentali per la ricostruzione del sé. […] Occorre una diversificazione delle sanzioni penali rendendole responsoriali, se vogliamo che la sanzione sia “rieducativa” […] Occorre che ogni tipologia di sanzione preveda contenuti relazionali». Occorre quindi, al momento della scelta e dell’applicazione ed esecuzione della sanzione, valutare la complessità della persona, la sua storia, la sua indole.
Liberilibri, 2 luglio 2021