Non solo il carcere: come cambiare la giustizia

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Le violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere hanno riportato l’attenzione sulla condizione dei detenuti. Al di là dello scandalo suscitato dal gravissimo episodio, sarebbe fondamentale riflettere sempre sulla condizione dei detenuti per misurare il grado di civiltà dello Stato di cui si è cittadini. Per farlo, però, bisogna partire da un punto tanto importante quanto ampio: chi è il detenuto e, soprattutto, cosa significa la sua pena? Quale è la funzione del carcere e più in generale della pena stessa? Rieducare e non solo punire? Almeno così prevede la Costituzione. Ma può un luogo come un carcere essere in grado di rieducare? E in tutta questa prospettiva, il bene offeso non viene troppo spesso rilegato in secondo piano?

Nel suo nuovo libro Antonio e la lucertola. Dal paradigma imputatocentrico al paradigma offesocentrico (Liberilibri), il magistrato Silvia Cecchi, sostituto procuratore presso la Procura di Pesaro, riflette sulla necessità di superare la logica che informa tuttora sia l’impianto sanzionatorio che l’interpretazione e l’applicazione delle norme penali. Perché, come sottolinea nella Premessa, «un sistema penale che vacilla sotto l’attacco di critiche e perplessità, dal suo interno come dal suo esterno, e di cui nessuno è contento, ci interroga sui fondamenti primi su cui esso si regge.» Quale potrebbe essere allora la soluzione possibile? Sostituire il paradigma imputatocentrico, un diritto penale del fatto e dell’offesa come quello previsto dalla Costituzione, con il paradigma offesocentrico: una rotazione prospettica che apporterebbe importanti benefici, utili a chiarire le ragioni della penalità, a interpretare e applicare in concreto le norme penali e a individuare le sanzioni più appropriate.

L’occasione di imbastire questa riflessione è data all’autrice dall’incontro con un detenuto di lungo corso di nome Antonio, avvenuto durante un permesso premio di tre giorni che l’ergastolano trascorre nella canonica del cappellano del carcere di sicurezza in cui è recluso. Durante il colloquio, ascoltando la sua storia e i suoi trascorsi delittuosi, gli suggerisce la lettura di un significativo libro-memoriale scritto da un altro detenuto, ripromettendosi di raccontargli al prossimo incontro il mito di Narciso ed Eco, perché solo quando riconoscerà se stesso in entrambi (l’io-narciso crudele e il dolore di Eco che diventa il suo dolore) potrà comprendere la propria carriera criminale e arrivare alla coscienza di sé.

Silvia Cecchi offre con questo scritto un’ottica interpretativa differente per la trattazione dei problemi più delicati della penalità contemporanea, con l’intento di richiamare l’attenzione su temi usciti già da qualche anno al di fuori della ristretta cerchia di studiosi e magistrati, ed entrati nella coscienza di tutti i cittadini. «Occorre allora – scrive – almeno un carcere diverso, che preveda l’esperienza di questi momenti fondamentali per la ricostruzione del sé. […] Occorre una diversificazione delle sanzioni penali rendendole responsoriali, se vogliamo che la sanzione sia “rieducativa” […] Occorre che ogni tipologia di sanzione preveda contenuti relazionali». Occorre quindi, al momento della scelta e dell’applicazione ed esecuzione della sanzione, valutare la complessità della persona, la sua storia, la sua indole.

Liberilibri, 2 luglio 2021

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