di Salvatore Di Bartolo
È un torrido pomeriggio del luglio 2020, e a Palermo l’aria è quasi irrespirabile. Il Paese è da poco uscito dalla devastante prima ondata della pandemia da Covid-19, e la stampa decanta il fantomatico “modello Italia”, imitatissimo in tutto il mondo, l’unico ad aver messo alle corde il terribile virus di Wuhan.
Il Presidente del Consiglio è Giuseppe Conte, e la bestia social orchestrata dall’allora potentissimo portavoce Rocco Casalino acclama la grandezza del “Churchill italiano” per aver strappato nel vertice Ue di Bruxelles sul Recovery fund un accordo senza precedenti che assegna al nostro Paese ben 209 miliardi di euro per la ripartenza post-pandemica. Roberto Speranza lavora al suo Perché guariremo – Dai giorni più duri a una nuova idea di salute, il libro mai uscito che avrebbe dovuto celebrare la gestione della pandemia operata dal ministro della Salute. Per i giallorossi è un momento trionfale. Purtuttavia, non destinato a durare a lungo. Probabilmente né Conte, né Casalino e né tantomeno Speranza immaginano che in quegli stessi giorni qualcuno lavori alacremente per scrivere i titoli di coda sull’esperienza di governo giallorossa.
Contestualmente, in un bar del capoluogo siciliano tra uno sfincione ed un cannolo alla crema di ricotta si discute di politica. Tra i commensali, anche un importante esponente politico del passato, nato politicamente nella Democrazia Cristiana e poi transitato in vari schieramenti nella prima parte della Seconda Repubblica. Tra l’incredulità generale (la mia in primis), l’ex democristiano delinea un piano politico per il triennio successivo apparentemente fantascientifico per quel preciso momento storico, che tuttavia, col senno del poi, si sarebbe invece rivelato profetico. Nel dettaglio, il piano in questione prevedeva:
1. defenestrare Giuseppe Conte e portare a Palazzo Chigi Mario Draghi (che da qualche mese aveva concluso la sua esperienza alla guida della Bce) per spendere le risorse del Recovery fund;
2. lasciare ben saldo al Quirinale Sergio Mattarella anche dopo il 2022 e comunque almeno fino al 2024;
3. approvare una legge elettorale proporzionale e costituire una federazione centrista con vista elezioni politiche 2023.
Sulla veridicità delle prime due profezie ogni dubbio è ormai fugato. In merito alle terza, per chi ancora dovesse nutrire dubbi (anche dopo la recente creazione di un’infinità di piccoli movimenti centristi e la rielezione di Mattarella), si rimanda alle dichiarazioni rilasciate lo scorso sabato alla trasmissione Quarta Repubblica – Speciale Quirinale dal Presidente della Regione Liguria e fondatore di Coraggio Italia Giovanni Toti: “Adesso che possiamo dormire sogni tranquilli perché abbiamo un buon Presidente della Repubblica e un ottimo Presidente del Consiglio, dobbiamo lavorare per dare a questo Paese una nuova legge elettorale per creare un proporzionale con uno sbarramento che riporti i partiti a poter dialogare tra loro in alternativa a questo bipolarismo. Vogliamo costruire una forza politica federale che aggreghi tante realtà, locali, regionali e nazionali, sul modello del centro francese, aperto a tutti quelli che ci vogliono stare: da noi alla stessa Forza Italia, dall’amico Matteo Renzi a Carlo Calenda e Clemente Mastella. Tutti possono mantenere la loro organizzazione di partito, ma riuniti in un unico cartello moderato elettorale”.
Una federazione liberale e moderata, europeista ed atlantista, quella invocata da Toti (ma non solo da lui) ispirata, quindi, al movimento politico En Marche, che nel 2017 portò Emmanuel Macron alla presidenza della Repubblica francese. Resta un ultimo interrogativo da chiarire per chiudere il cerchio: chi sarà il Macron italiano dopo le politiche del 2023? Anche in questo caso, ci viene in soccorso l’ex democristiano con l’ultima parte della sua terza profezia: dopo le politiche 2023 la federazione centrista proporrà Mario Draghi come nuovo (vecchio) Presidente del Consiglio. Ad attenderlo sul Colle più alto della politica italiana ci sarà (manco a dirlo) Sergio Mattarella, smanioso di conferirgli l’incarico di formare un nuovo governo.