Società

Pandoro indigesto

Non “sovradetermina” Ferragni, ma s’immischia. A Fedez, ma che stai a dì?

Il marito della influencer in trincea dopo la multa dell’Antitrust, le scuse di Chiara e gli attacchi del premier Giorgia Meloni

Fedez attacca Meloni per difendere Chiara Ferragni

So’ digitali, so’ ragazzi, so’ imprenditori di nuova generazione. Un po’ sovradeterminati, per dire sopravvalutati. Dal curriculum latitante, un blog, uno sponsor, e nulla più. Dalla formazione lacunosa o lagunare, dunque, come tutti quelli col complesso della cultura, si fanno male con i termini che stridono ma non hanno senso, sassi nel motore della sintassi. Oh, così piccolo borghese, specie da ex rapper contro il sistema che voleva tagliare la gola ai politici, yooh. Imprenditori digitali, cioè fumo, industria di miraggi, sempre tra le palle, tronfi quando si palesano, quando affondano, quando si discolpano. Quando si soccorrono, ma più da soci in affari che tra coniugi, prendi il Fedez che dice “Non sovradetermino” Chiara Ferragni, e cosa intenda nel suo zoppicare semiologico non lo sa neanche il Padreterno. Però parrebbe una cosa del genere “le merde che pesta restano sue”. Parenti, serpenti, indipendenti, ma partner.

La faccenda è quella ormai esplosa, la beneficenza farlocca del Balocco, il pandoro-gate che, com’è come non è, doveva sostenere le cure dei piccoli malati oncologici al Regina Margherita di Torino ed ha finito per sostenere solo i forzieri della Ferragnez inc. (dove la sigla societaria va interpretata a piacere): 50mila euro donate all’ospedale per un macchinario, una miseria, venti volte tanto alla testimonial, che, a detta di mail confidenziali dell’azienda, aveva preteso “un cachet esorbitante”. Strana solidarietà, senza contare il ritorno d’immagine, che per certa imprenditoria è tutto, è un moltiplicatore. E il marito non sovradetermina: però gioca al piagnisteo siccome la premier ha mandato quel graffio dal palco di Atreju. L’ha fatto ieri e c’è tornato sopra oggi, con la retorica frase tipo: Chiara chiede scusa, cara Meloni, “le risulta che i componenti del suo governo quando sbagliano si scusano e pagano di tasca loro?”.

Ecco, volendo si potrebbe dire alla nostra presidente che un po’ incauta la è stata: trascinata dalla foga patriottica della festa, ha offerto a quei due una via di fuga nel vittimismo, così si può distogliere l’attenzione dal busillis: fatto è che Giorgia è, sia letto senza ironia, una brava persona, una che le cose le dice in faccia, dovesse essere al suo posto chi scrive, la questione l’avrebbe risolta alla svelta, in modo classico: scatenando, nell’ordine: una campagna mediatica devastante, la Finanza, i Servizi. E problema risolto, a volte la dignità delle istituzioni non deve fare prigionieri, si fa per dire. Ma chi scrive è una vecchia carogna guasta, non una persona per bene; e, per esempio, si ricorda: che ne dite di tornare sul pezzo, la campagna dei pandoro pro domo, e anche su quell’altra faccenda, quando lui, Fedez, girava, facendosi riprendere, con la Maserati a tirar buste di soldi ai clochard, soldi raccolti dai follower? Quando fecero quella immortale festa di compleanno al supermercato, generi alimentari tirati ovunque in un delirio di deficienti, uno spreco colossale, lui che preoccupato mormorava: diciamo che li diamo in beneficenza?

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Se i politici sono tutti ladri, perché li cercate tanto, ve ne fate corteggiare tanto? Perché vi fate i selfie al gran premio di Monza col capo di tutti, quello al Colle? Perché lui, il Fedez, si intratteneva con Di Battista (“Io gli do lezioni di musica, lui di politica”, e qui aggiungete voi le faccine con le mani sugli occhi, quante ne volete)? Perché nostra signora del pan d’oro è sempre più mormorata in rampa di lancio col Pd? E perché, vedi caso, a prenderne le difese, in modo apparentemente incredibile, in realtà in modo del tutto organico, è precisamente la sinistra, quella che i redditieri, i liberisti, gli sfruttatori, i produttori di fumo vorrebbe sempre impiccarli, ma domani? In favore di una sospettata di una “semplice operazione commerciale”, parole sue (ma all’epoca non la pensava così, all’epoca si diceva di salvare i piccoli malati), sono intervenuti gli ultrà da centro sociale foderato di pelliccia, le Schlein, i Saviano, i Ruotolo, i Tomaso, e si attende la preghiera del Bergoglio. Ti stupisci? No, noi no.

Se mai a colpire è altro. Fermo restando che quanto emerso fin qui ha un sapore nauseabondo, di palude, di inferno, ma altrettanto fermo che va considerato il beneficio del dubbio, la asserita buona fede della Ferragni quando la rivendica, anche se “non sono stata capita” non è granché come spiegazione, e “continuerò a fare beneficenza” a questo punto può risuonare come una minaccia, non è la vicenda in sé, non in riferimento a Chiara o a chicchessia in genere: Wanna Marchi è maschera eterna del carnevale nazionale, non la estirpi, risorge dalle sue ceneri al grido “inculare i coglioni è sacrosanto!”.

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Quello che se mai spaventa, è che tutto sembra passare in cavalleria. Una bestemmia, un riso amaro, un commento su X, e l’esorcismo è servito. Abbiamo mandato giù nel giro di poche settimane una serie di presunzioni che sembrano irreali: il presunto caso Ferragni, il presunto caso Soumahoro, il presunto caso Casarini, mi voglio rovinare, mettiamoci anche il presunto caso Gino: sono tutte vicende all’apparenza incredibili, in cui si protesta uno spietato sfruttamento dei più deboli, dei più poveri, dei più malati; a cachet o comunque tornaconti allucinanti. Ecco, sembra che la società, “inculando inculando” i coglioni, ormai sia assuefatta, che abbia finito i suoi anticorpi, la sua capacità di reagire, di guarirsi, sembra che questa società dissociata sia ormai un corpaccione putrefatto moralmente, a tutto assuefatto, che langue nella sua decomposizione. Wanna Marchi, la maschera eterna, non è stata forse rivalutata, sublimata in epifania pop, non viene nominata come epitome dei furbi, ma in modo tenero, complice, empatico?

Non abbiamo neppure più coraggio di raccontare le cose per quelle che sono, di chiamare certi personaggi col loro nome, abbondiamo in formule, in litote, in contestualizzazioni, in distorsioni pubblicitarie. Capovolgiamo le parole nella torsione immorale che dovrebbe preservare anche noi, le nostre ammirazioni malcelate. E, alla fine, il solito passare oltre, fingendo di essere vivi, che è la cosa che fa più schifo. Chi davvero zombie? Wanna Marchi? O noi, che guardiamo e ridiamo, magari pure amaro? Il sospetto è che da certe imprese, o business, non sgorghi più una damnatio memoriae, ma, in una proiezione malata e irreversibile, anodina, acritica, solo più esposizione, più popolarità, più miraggi, più affari, più denari, più potere. Fino allo scranno, o al Soglio.

Max Del Papa, 18 dicembre 2023

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