Non vaccinati e rischio di morte, i veri numeri

Le agenzie di stampa rilanciano la ricerca Iss sui decessi senza vaccini. Ma è tutto vero?

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Non sono mai stato un estimatore di Nanni Moretti tuttavia, nel leggere alcuni titoloni in merito ad un recentissimo report dell’Istituto superiore di sanità, mi è venuto subito in mente il suo celebre “ma come parla? Le parole sono importanti!”. Tant’è che l’Ansa, la più autorevole agenzia di stampa del Paese, così riporta: “Iss, un non vaccinato rischia la morte 9 volte più dei vaccinati”. Altrettanto terrorizzante il titolo dell’Agi, agguerrita  concorrente dell’Ansa: “Per l’Iss i non vax rischiano la morte 9 volte di più”.

Dopodiché, approfondendo rapidamente la notizia, scopriamo che secondo Il Sole 24 Ore le cose non stanno affatto in questi termini. Nel riportare ampi passaggi del citato documento il quotidiano economico spiega che “analizzando il numero dei decessi degli over 80 (leggasi persone sopra gli ottanta anni) il tasso di letalità è circa nove volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo da oltre cinque mesi e sette volte più alto – cosa alquanto bizzarra – rispetto ai vaccinati con ciclo completo entro cinque mesi”.

Parola d’ordine: terrorizzare

Ora, tralasciando la stranezza statistica – l’ennesima in questo pasticciaccio brutto della pandemia – secondo la quale il rischio per i non vaccinati è più alto rispetto alla platea che è più lontana dalla seconda dose, per completezza occorre sottolineare che l’Agi nell’articolo ha citato l’elemento dirimente della fascia di età, mentre l’Ansa lo ha completamente tralasciato. Ma resta il fatto che con questa ennesima semplificazione del terrore virale, si tende colpevolmente a ribadire un concetto profondamente errato e gravido di nefaste conseguenze politiche, sociali e psicologiche. Ossia che il Covid-19 sia una malattia mortale da evitare, per l’appunto, come la peste.

In realtà qualsiasi dizionario della lingua italiana per malattia mortale considera qualsiasi patologia che abbia per lo più esito letale. Una di queste, ad esempio, è il tetano che, se non curato in tempo, lascia poco scampo a chi lo contrae, ma non certamente una malattia respiratoria, assai grave per i molto anziani e i fragili, che sin dall’inizio registrava una percentuale altissima, tra il 95 e il 98% , di asintomatici e paucisintomatici.

Covid, l’analisi che manca

In questo senso sarebbe forse troppo aspettarsi dello stesso Iss un rapporto circa i rischi reali che il coronavirus comporta per la componente sana della collettività, i cosiddetti immunocompetenti. Rischi ancora molto bassi, a prescindere dai vaccini, e che persino un cieco sarebbe in grado di rilevare.

D’altro canto, una siffatta analisi metterebbe a repentaglio l’intera strategia sanitaria che fin qui ha “allietato” la nostra grigia esistenza,  inoculando nella mente di tante ignare persone l’idea che forse, come diceva il grande Bartali, “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare!”. Se infatti dovesse emergere dai meandri più reconditi dell’intelligenza collettiva che probabilmente sarebbe stato più conveniente adottare la stessa filosofia che seguiamo da sempre per l’influenza stagionale –vaccinare gli anziani, i fragili ove sia possibile e gli ipocondriaci – , per tutti coloro i quali si sono incatenati alla logica del terrore virale, grande informazione compresa, le cose non si metterebbero molto bene.

Costoro dovrebbero spiegare ad un Paese stremato dalla paura e dalle restrizioni la logica di un principio di precauzione portato ben oltre i confini della realtà.

Claudio Romiti, 6 dicembre 2021

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