«Brucia Notre-Dame, risorge il sogno europeo». Se non trovate un nesso tra le due affermazioni, nessuna paura, non siete voi duri di comprendonio, è il mainstream, il partito unico dei media, ormai a ragionare con i crismi del pensiero magico.
L’idea che con Notre-Dame sia andato a fuoco un simbolo dell’Europa e che, di conseguenza, il trasporto e l’emozione siano un sintomo di rinascita del «sogno europeo», è la prima grande panzana diffusa non solo da giornali e Tv, ma anche da ex presidenti del Consiglio, come Matteo Renzi e soprattutto Enrico Letta. Passi per Renzi, ma Letta, che vive lì, dovrebbe sapere che nei giorni successivi al rogo nessun giornale, neppure Libération e nessun politico, neppure il presidente Macron, hanno mai pronunciato la parola «Europa». In compenso abbiamo sentito da tutti, e non solo da Le Pen, anche dai leader della sinistra, la parola nation.
E infatti Notre-Dame è uno dei simboli della nazione francese, è la Cattedrale più «patriottica» di Francia. Mentre le grandi chiese sacre e legate alla monarchia sono quella di Reims, dove fu battezzato il re Clodoveo, il cristianizzatore, e dove venivano solitamente incoronati i re di Francia, e quella di Saint-Denis, dove troviamo le tombe dei monarchi. Notre-Dame è invece quasi un simbolo repubblicano: non a caso i rivoluzionari francesi nel 1792 la devastarono meno di altre, non a caso Napoleone, l’imperatore repubblicano, la scelse come luogo in cui incoronarsi, non a caso i funerali dei presidenti di solito si fanno lì.
Niente identità europea, in Notre-Dame, e tanta identità nazionale: al contrario di quanto ha scritto su Repubblica Francesco Merlo, pure residente a Parigi, come Letta. Il che dimostra che non è sufficiente vivere in un luogo per conoscerlo e capirlo, se si è accecati dall’ideologia: in questo caso quella europeista.
La seconda fandonia, o forse più che fandonia, illusione, è quella che vorrebbe, dietro al rogo di Notre-Dame, vedere la rinascita del cattolicesimo in Francia. Certo siamo rimasi tutti colpiti dalla preghiera fuori dalla chiesa in fiamme. Ma non illudiamoci. La Francia resta il paese con una minoranza di cattolici molto convinti e molto determinata: ma sempre minoranza, ormai. Tanto è vero che nei mesi scorsi, quando chiese meno note, a Parigi o no, sono state vandalizzate o addirittura bruciate in modo doloso, nessuno, se non i cattolici, ne ha parlato e se n’è preoccupato.
Soprattutto non se n’è doluto Macron, il primo presidente post cristiano della Francia, nel senso di essere totalmente estraneo sia alla cultura religiosa che al suo sentimento. Mitterrand (che morì con i sacramenti) e Hollande non erano certo amici della chiesa cattolica: ma erano immersi, pur rifiutandolo, nel cattolicesimo che forniva identità alla nazione francese. Macron no, per lui il cattolicesimo è solo il più corposo tra i vari «culti» che costituiscono lo spazio repubblicano francese, accanto al calvinismo e soprattutto all’islam, a cui il presidente guarda sempre con grande attenzione.
Il trasporto e la conseguente messa in scena che Macron ha costruito attorno a Notre-Dame fumante non ha nulla di religioso: avrebbe fatto la stessa cosa se fosse bruciato il Louvre. E nessuno mi toglie dalla testa che tutta la giusta emozione di questi giorni, sia dovuta soprattutto a un fatto: che Notre-Dame è la chiesa più turistica di Francia. In fondo, come scrive Roberto Calasso, l’uomo contemporaneo è soprattutto un turista. Senza radici.
Marco Gervasoni, 18 aprile 2019