Di cosa stupirsi, in fondo? Se Roberto Saviano rivendica il diritto di dare della “bastarda” la premier e Luciano Canfora di definirla “neonazista nell’animo”, perché tal Gennarone da Foggia – sedicente artista – non dovrebbe sentirsi legittimato riferirsi a Giorgia Meloni con l’epiteto di “bocc…ara”? Ci scusiamo con il lettore, e anche col premier, ma non inserire nel titolo l’epiteto incriminato sarebbe stato ingiusto verso la verità.
Prima la cronaca. Ieri, Primo Maggio, ci siamo dovuti sorbire i soliti Concertoni diffusi in tutta Italia, per fortuna attenuati dalla pioggia benedetta. A Foggia, però, non hanno mancato di trasformare il palco in un podio per la gara all’insulto alla Meloni. A vincere a mani basse è stato il rapper Gennarone che, microfono in mano, dal Parco San Felice ha urlato: “L’Italia sta vivendo l’ombra del fascismo grazie a quella bocc…ara di Giorgia Meloni“. Fine della triste storia.
Ovviamente l’insulto sessista (non è sessismo, questo?) non ha conquistato le home page dei siti come Repubblica e La Stampa, solitamente sempre attenti a difendere il genere femminile da ogni sopruso maschile. Qui abbiamo un uomo che prende di mira una donna, peraltro accusandola con irrispettosi riferimenti sessuali. Ci sarebbero i presupposti per una grande campagna di stampa, e invece niente. Vabbé.
Ma la parte migliore arriva dopo. Mentre montavano le polemiche, Gennarone ha deciso di domandare perdono. Ma l’ha fatto a modo suo: “Chiedo scusa se ho urtato la sensibilità di qualcuno” (qualcuno chi?), ma “le mie parole erano più che altro rivolte al fascismo. Erano una provocazione artistica”. Chiaro, no? Definisci “bocc…ara” una donna, che tra le altre cose è anche premier, e la trasformi in “provocazione artistica”. Non solo. Gennarone fa pure la vittima, ritenendo che di anormale non ci siano tanto le sue parole (forse il fatto che lo facciano cantare?), ma quello “che sta accadendo in Italia soprattutto da parte di una presidente del Consiglio che non si dichiara apertamente antifascista e vara leggi che mettono il bavaglio alla stampa e riducono la libertà sull’aborto”.
E qui a preoccupare non è tanto il livello della musica italiana, quando del dibattito pubblico. Perché in una sola frase Gennarone ha preso almeno due granchi. Nessuna legge di questo esecutivo mette il bavaglio alla stampa. E nessuno ha scritto una norma per ridurre le libertà sull’aborto. Se il rapper ne è convinto, si vede che le sparate dei grandi giornali da qualche parte hanno lasciato una traccia. Sbagliata, ma l’hanno lasciata. Come hanno aperto una breccia le auto-giustificazioni dei vari Saviano e Canfora, i quali evidentemente fanno scuola: per Gennarone infatti non bisogna “scandalizzandosi per una parola che non voleva di certo essere offensiva nei confronti della presidente e delle donne in generale” (ah no? Era un complimento?), ma “per tutti gli episodi di criminalità che avvengono e che spengono il futuro”.
“È un periodo storico molto delicato e se non ne parliamo noi artisti – conclude il rapper – ognuno attraverso la propria forma, chi lo dovrebbe fare?”. Se questi sono i risultati, caro Gennarone, forse meglio tacere.
Franco Lodige, 2 maggio 2024
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